martedì 23 giugno 2020

M WARD

M. WardMigration Stories
[Anti- 2020]
mwardmusic.com

 File Under: border songs
di Nicola Gervasini (12/05/2020)
Nello speciale per i 20 anni di Rootshighway M Ward ha avuto la sua doverosa citazione grazie all’album Transfiguration Of Vincent, titolo ispirato a John Fahey (che pubblicò nel 1965 The Transfiguration of Blind Joe Death), e anche uno dei dischi più importanti del 2003. 17 anni dopo siamo ad accogliere il suo decimo album Migration Stories con invariato interesse, seppur magari non con lo stesso entusiasmo di un tempo. E non perché non valga ancora la pena di seguire le sue vicende musicali (in fondo anche i precedenti A Wasteland Companion e More Rain avevano ancora buone frecce da scagliare), ma indubbiamente dopo quell’album e anche il parimenti validi Transistor Radio del 2005 e Post-War del 2006, il signor Ward ha un po’ mancato l’appuntamento con il salto di qualità successivo, accontentandosi in parte di ribadire la propria filosofia di partenza o tentare cambi di direzione appena abbozzati, come quelli di Hold Time del 2009.

Anche l’epopea del progetto She & Him, creato nel 2008 con l’attrice Zooey Deschanel, sarebbe forse dovuta rimanere un curioso side-project, invece di invadere il mercato con ben sei album, di cui due natalizi (così come rimase fortunatamente episodio unico il pretenzioso supergruppo Monsters Of Folk, creato con Conor Oberst, Jim James e Mike Mogis). In ogni caso Ward resta un punto di riferimento del fai-da-te artistico di questi anni 2000, abile tessitore di tradizioni e avanguardie musicali che ci piacciono particolarmente. Il nuovo album lo vede abbandonare la Merge Records per accasarsi nella squadra della Anti, ma questo non gli ha impedito di concepire il disco con Tim Kingsbury e Richard Reed Parry degli Arcade Fire (gruppo punta della Merge). Dal punto di vista del concept il disco è un bellissimo viaggio in 11 episodi ispirati da notizie giornalistiche che parlano di migrazione, argomento che certo non può non interessarci qui in Italia, con l’idea di raccontare una nuova saga di vite erranti con uno sguardo che va oltre i confini americani.

I brani evidenziano come non mai il debito artistico nei confronti di Howe Gelb, suo mentore a inizio carriera, e a tutto quel sound che spesso definiamo “desertico” alla Calexico, band che tranquillamente metterebbe in scaletta brani come le iniziali Migration Of Souls o Heaven’s Nail And Hammer. M Ward gioca come al solito con gli stili, passando dalla ballata anni 50 di Coyote Mary’s Traveling Show al quasi trip-hop di Indipendent Man, con un uso garbato di elettronica che ritorna anche in Real Silence. Il meglio arriva da alcuni azzeccati mid-tempo come Along the Santa Fe Trail e Unreal City, più che negli episodi da indie-folker vecchia maniera come Chamber Music, oppure dalle notevoli tessiture di fingerpicking di Torch o degli strumentali Stevens’ Snow Man Rio Drone, in cui la passione per John Fahey che accennavo all’inizio si fa puro omaggio.

Ancora una volta da parte sua abbiamo un disco che non farà probabilmente grande rumore, ma garantisce la solita alta qualità.

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