Alessandro Rocca
Transiti
[Dimora Records 2020]
File Under: spazi e riflessioni
facebook.com/alessandrorocca.qui
di Nicola Gervasini
Se li prendesse uno come Mark Kozelek dieci anni di tempo per scrivere nuovi brani, invece di pubblicare a raffica album di oltre un’ora in cui è evidente l’esigenza di esprimersi, ma molto meno la pazienza di costruire vere canzoni... Parlo di lui perché il varesino Alessandro Rocca mostra sicuramente molte affinità con il mondo riflessivo (e senza paura dei tempi lunghi) dell’ex Red House Painters, e questo Transiti, album che segue l’esordio indipendente ormai datato 2009, lo dimostra appieno. Quasi un’ora di musica, ritmi lenti e dilatati, una band elettro-acustica di primo livello capitanata dal factotum Luca Gambacorta, che suona e produce tutto tranne la chitarra acustica suonata dallo stesso Rocca, il violoncello di Cecilia Santo (che fa la differenza nel contesto), il contrabbasso di Marco Di Francesco e il clarinetto di Paolo Grassi. Un tessuto musicale ben congegnato che sorregge una lunga serie di riflessioni e immagini, quasi sussurrate da Rocca, uno che ama il particolare della parola e la ricerca di osservazioni non comuni. Un artista votato all’isolamento che invece che chiudersi nel suo mondo, osserva gli spazi che lo circondano (“Sono qui, usando stipiti da limiti, non li oltrepasserò” canta nell’iniziale Stipiti). Transiti è il racconto di un uomo che dal buio di una stanza, come quella della bellissima copertina quasi alla Edvard Munch creata Andrea Tsuna Tomassini, passa in rassegna dolori, delusioni, ma anche gioie. Non è un disco facile, richiede quello che oggi pare merce rara, e cioè l’attenzione, ma brani come Topi o Licaone meritano di essere vissuti. “Chi dorme nella stanza che ha incubato i pensieri miei, basati sulla distanza?” si chiede in Fossili, e questa musica serve proprio ad abbattere quella lontananza tra le tante anime che pulsano solitarie dal chiuso delle loro case.
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