La quieta ascesa di Blake Mills verso il nuovo Mutable Set.
Ho sentito per la prima volta Blake Mills nel 2012 in occasione del disco tributo a Bob Dylan Chimes of Freedom, realizzato per Amnesty International. Tra i tanti nomi altisonanti di quel lungo progetto discografico, il suo era sicuramente uno dei meno prestigiosi: un ragazzo di poco più di 25 anni con un solo disco all’attivo (Break Mirrors del 2010), tra l’altro realizzato in maniera indipendente. E anche la canzone scelta, la leggera e spesso vituperata Heart Of Mine cantata con Danielle Haim, certo non lo aiutava a farsi notare in mezzo ad una così nobile folla. Eppure chi lo aveva coinvolto ci aveva visto giusto in fondo, perché il suo secondo album (Heigh Ho, uscito nel 2014 per la Verve), è piaciuto a tutti, e lo ha lanciato come uno dei cantautori più interessanti delle nuove generazioni.
Tra collaborazioni e prove soliste
Collaboratore molto richiesto, sentito al fianco di grandi nomi come Fiona Apple, Neil Diamond, Beck, Billy Gibbons, Jenny Lewis o Jackson Browne, e produttore anche del bellissimo Semper Femina di Laura Marling e di Darkness and Light di John Legend, Mills ci ha messo ben sei anni per realizzare Mutable Set, il suo terzo album, una lunga attesa interrotta solo dall’EP strumentale Look del 2018, che tra l’altro non ha neanche pubblicizzato troppo. E il nuovo album lo conferma come un animale da studio di registrazione, dedito ad un “chamber-folk” che mette insieme la vena dimessa di un Damien Rice con gli estetismi sonori e orchestrali di un Rufus Wainwright.
Blake Mills – Mutable Set
E così intorno alle sue fini trame chitarristiche (lui resta un virtuoso dello strumento), si stagliano momenti molto intensi che trovano il proprio zenith negli inserti jazzistici di Money Is The One True God, quasi 7 minuti di grande pathos che costituiscono il fulcro dell’album. Che per il resto si staglia tra intimi dialoghi tra chitarra e piano (Summer All Over), o lunghe riflessioni come Vanishing Twin, che si avvale della collaborazione di Cass McCombs in sede di scrittura, e che si sviluppa in un gran bel duello tra chitarra elettrica e tastiere.
Prima di queste l’album aveva sparato subito alcune delle migliori cartucce con Never Forever e May Later, brani molto personali nello stile, mentre My Dear One mostra senza pudore tutta la sua devozione per il mito di Elliott Smith. Farsickness è invece una elegante piano-song che porta allo strumentale Mirror Box, lunga introduzione a Window Facing A Window, caratterizzata da un gioco tra chitarra acustica e fiati degno di una colonna sonora da noir francese, che avvicina il suo stile di arrangiatore a quanto fatto sentire da Joe Henry negli ultimi anni. Nel complesso Mutable Set conferma Mills come una delle menti musicali più creative degli anni dieci, anche se lascia intuire che ci siano margini per arrivare ancora più in alto.
Blake Mills – Mutable Set
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