L’esordio omonimo dei Third Mind.
Ci sono tanti modi per un artista in crisi d’ispirazione per tergiversare in attesa di tempi migliori, pubblicando magari una raccolta di successi, un disco di cover (soluzione purtroppo abusata), un disco di riletture aggiornate del proprio repertorio (e ricordo rarissimi casi in cui sia valsa davvero la pena una simile operazione), o il più classico dei live records. Ma il metodo più sano e auspicabile resta sempre quello di organizzare una jam con gli amici e vedere un po’ che succede. A volte ne esce materiale che resta in un cassetto, a volte un delizioso bootleg da regalare ai fans, a volte dischi che riescono ad avere un senso come questo esordio omonimo dei Third Mind.
Un insolito supergroup
Una sigla rubata a William S. Burroughs che non sembra nascere per portare avanti un progetto particolare se non dare il nome ad una serie di piacevoli incontri tra vecchi reduci del rock, organizzati dall’ex Blasters Dave Alvin, ispirato dai racconti letti sulle sessions di Bitches Brew di Miles Davis. Alvin ha coinvolto così l’ottimo chitarrista David Immergluck, session-man di lungo corso sentito anche con i Counting Crows, il bassista dei Cracker Victor Krummenacher, il funambolico batterista Michael Jerome, (per chi scrive uno dei batteristi migliori mai visto in azione dal vivo in occasione di un concerto di Richard Thompson), in alcuni casi affiancato da D.J.Bonebrake, sua vecchia conoscenza nei Flesh Easters e negli X. A loro poi si è aggiunta l’eterea voce di Jesse Sykes, artista straordinaria che rompe così il silenzio dopo che il suo album Marble Son del 2011 aveva incantato un po’ tutti. Un vero e proprio Dream Team che ha saputo creare una perfetta jam-session utilizzando alcuni brani altrui di antico splendore.
La musica di Third Mind
Journey In Satchidananda di Alice Coltrane ad esempio apre le danze proiettando subito l’ascoltatore in una dimensione quasi jazzistica, prima della bella versione di Dolphins di Fred Neil, forse non proprio adatta alla voce di Dave Alvin, ma ugualmente ben costruita.L’utilizzo di cover rende chiaro il fine del progetto, anche se poi il terzo brano intitolato Claudia Cardinale, in omaggio alla nostra diva del cinema, figura essere un originale, ma è uno strumentale utile a scaldare i motori prima che Jesse Sykes sbaragli il tavolo con una Morning Dew da brividi (brano di Bonnie Dobson reso celebre dai Grateful Dead o dal Jeff Beck Group tra i tanti). I classici poi non sono finiti, perché l’impronta acida del progetto trova il suo zenith nella versione di Reverberation dei 13th Floor Elevators, una cavalcata che anticipa la lunga jam finale di East-West, capolavoro del blues bianco degli anni 60 firmato dalla Paul Batterfield Blues Band, che nella versione in vinile viene anche riproposto in due versioni alternative su un 12 pollici. Disco che non fa la storia questo, ma prova almeno a raccontarla al meglio alle giovani generazioni, con un Dave Alvin finalmente a suo agio nelle vesti di musicista senza l’assillo di dimostrare di essere anche un grande autore.
The Third Mind – The Third Mind
7,5
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