Benjamin
Booker -
LOWER
2025 - Fire
Next Time Records
Siamo un po’ sommersi e bombardati da una quantità
spropositata di album e nuovi artisti da mettere alla prova, che alla fine si
rischia di dimenticarsi un poco di quelli che già qualcosa lo avevano dimostrato.
E’ il caso di Benjamin Booker, uno che con i due primi album (l’omonimo del
2014 e Witness del 2017) aveva portato una ventata di freschezza nella black
music, con un suo personale mix di blues, rock e atteggiamento indie che aveva
destato interesse e la sponsorship di Jack White. Anche dal vivo Booker fu di
scena in parecchi festival in quegli anni, rubando spesso la scena a nomi più
blasonati. Sono passati 8 anni e di lui quasi ci si stava dimenticando, ma
questo LOWER (scritto tutto maiuscolo come anche i titoli delle canzoni) ha
tutta l’aria di essere uno di quei lunghi parti artistici che lascerà più il
segno.
La mossa a sorpresa è quella di affidarsi al produttore Kenny
Segal, guru del mondo hip-hop che ha portato in dote un approccio completamente
diverso, non so se definirlo moderno visto che poi il risultato, per quanto sperimentale,
non è affatto nuovo. L’iniziale BLACK OPPS rende subito chiaro il concetto, con
il suo riff hard-blues sommerso da voci filtrate e tastiere, o nell’ipnosi
elettronica subito successiva di LWA IN THE TRAILER PARK. La tendenza è fare un
gran mix di tante ispirazioni, persino quelle più “rootsy” che animano le
chitarre di POMPEII STATUES, mentre SLOW DANCE IN A GAY BAR tiene fede al
titolo con un suadentissimo dream-pop da struscio sulla pista della discoteca.
Ma la caratteristica da non dimenticare è anche quella dei
testi fortemente polemici su società e politica americana, con lo zenith
raggiunto in REBECCA LATIMER FELTON TAKES A BBC, brano decisamente sperimentale
che sbertuccia una nota avvocata suprematista e nemica dichiarata della
black-community, e se non capite il senso del titolo, provate a inserirlo nella
ricerca di una qualsiasi sito pornografico e vi sarà tutta chiara l’ironia.
Il disco intrattiene bene, anche se poi a lungo andare,
svelate le nuove carte, il gioco si fa più ripetitivo, ma si fanno ancora
notare la quasi jazzy SAME KIND OF LONELY con il suo suggestivo video e i tanti
samples usati per la base, e la finale HOPE FOR THE NIGHT TIME, mentre SHOW AND
TELL si segnala come l’unico brano in continuità col suo passato anche nella produzione
più acustica e tradizionale.
Quello che però piace del disco è che le atmosfere
apparentemente glaciali create da Segal ben si sposano con i toni per nulla accomodanti
di uno dei dischi più feroci dal punto di vista della lotta e orgoglio razziale
che si sia sentito negli ultimi anni, con semplici slogan di rabbia e rivolta (SPEAKING
WITH THE DEAD) che riportano ad un clima degno dei
più riottosi anni 60. Un buon segno in un’era in cui da più parti si sottolinea
quanto la musica abbia perso ornai totalmente la propria forza rivoluzionaria e
la propria influenza sulla società. Non che il disco di Booker possa cambiare
qualcosa dei tempi bui in cui è stato concepito, ma probabilmente il tentativo
di fare un nuovo There’s a Riot Going On di Sly & the Family Stone per club,
ad uso e consumo dei disc jockey, è perlomeno encomiabile.
NICOLA GERVASINI
VOTO: 7,5
Nessun commento:
Posta un commento