Ty Segall – Possession
2025 – Drag City
Prima o poi la tentazione di fare un disco “normale” viene a
tutti, anche ai più sregolati e imprevedibili artisti. E perché no in fondo, Picasso d’altronde sapeva benissimo dipingere in stile
figurativo, e nel cinema persino un autore riconoscibilissimo come David
Lynch ha fatto Una storia Vera, film bellissimo, ma che usciva dal suo percorso
stilistico, e che probabilmente avrebbe potuto girare anche un altro regista. E
così il genio e sregolatezza di Ty Segall, pur non smentendo la sua proverbiale
tendenza ad una mole produttiva difficile da seguire con attenzione (Possession
arriva dopo che nel 2024 aveva già prodotto due album), per una volta prova a
buttare anima e talento in dieci brani che per qualcuno potrebbero sembrare addirittura
(“che orrore!”) “mainstream”, o semplicemente ancora legati ad una vecchia idea
di “classic rock” che ignora (ma non del tutto) la sua abituale verve da eroe
indie.
Ho sempre pensato che, in qualche modo, queste opere siano una
sorta di risposta a qualche detrattore che avanza il sospetto che tanta
sregolata originalità non sia altro che un modo per mascherare l’incapacità di
fare le cose come le fanno tutti, e credo che Segall abbia registrato questi
pezzi un po’ con questo pensiero, quasi anche a voler fieramente dimostrare che
quello di rimanere un personaggio da undeground carbonaro, per appassionati di
weird-folk, non è un condanna, quanto una sua precisa scelta. Quello che magari
non si aspettava è che Possession sta paradossalmente piacendo a tutti, e che
il fatto di aver fatto un album che può benissimo funzionare anche come musica
da viaggio in macchina (secondo “orrore!”) non solo non gli sta facendo perdere
l’affezionata fan-base, ma sta conquistando qualche adepto fino ad oggi
scettico nei suoi confronti.
Possession di fatto è un bel disco, con chitarre e fiati in
gran spolvero, ma soprattutto un largo uso di cori, il che fin dall’iniziale
Shoplifter fa ricordare davvero le migliori opere di Todd Rundgren, sospese tra
perizia tecnica da one-man band di studio, piglio da rocker, e melodie vocali
molto elaborate e spesso decisamente radiofoniche e pop. Ci sono variazioni sul
tema (gli archi di Buildings, l’aura da prog quasi alla Steven Wilson di
Hotel), ma fondamentalmente Possession è un disco che, fin dalla title-track scritta
dal collaboratore Matt Yoka, (bello anche il video), si fa apprezzare per avere
dalla sua parte un pugno di buonissime canzoni, da Skirts of Heaven con le sue
chitarre in evidenza, alle conclusive Alive e Another California Song, fino al primo
singolo Fantastic Tomb. Sono certo che Segall tornerà a offrire produzioni
fuori dagli schemi, ma anche questa sua versione “public-friendly” non ci
dispiace affatto.
Nicola Gervasini
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