CHIUSO PER LOUTTO
So Long Lou....
domenica 27 ottobre 2013
giovedì 10 ottobre 2013
TRAVIS
TRAVIS
WHERE
YOU STAND
Red Telephone Box / Kobalt Label Services
***
Quando chiami una band con il nome di battesimo del
silenzioso e malinconico protagonista di Paris
Texas di Wim Wenders, hai già segnato la strada da intraprendere. Il Travis
che fu magistralmente interpretato da Harry Dean Stanton era il simbolo della
fuga dalla nuova luccicante modernità degli anni ottanta, lontano dal clamore
di un matrimonio fallito al suono per nulla moderno (per quei tempi) della
slide-guitar di Ry Cooder, mentre i Travis
che tra il 1997e il 1999 raccolsero l’eredità degli Suede, semplificarono gli arzigogoli
mentali dei Radiohead e aprirono la strada a gruppi come Coldplay e Keane, sono
stati uno degli ultimi veri link tra il brit-stardom degli anni novanta e il
nuovo mondo musicale indipendente degli
anni 2000. Decennio quest’ultimo che li ha visti appartarsi sempre più,
fino a scomparire dopo il 2008 e un disco come Ode to J. Smith che fece
incetta di recensioni entusiaste ma evidenziò anche come il loro percorso
avesse ormai perso il contatto con il grande pubblico. Fran Healey d’altronde non è mai stato uomo da grandi riflettori, e
ha anche saggiamente aspettato cinque anni prima di ricomparire con questo Where
You Stand. Che, nonostante l’autoproduzione (esce per un etichetta di
loro proprietà), segue tutti i crismi della divulgazione massiccia, con la
title-track messa in rete già a da maggio e un secondo singolo (Moving) on air prima dell’estate. Sforzo
importante (non ultimo anche le tante edizioni deluxe previste per l’uscita)
per un disco che segna un deciso ritorno alle origini del loro suono. Il solito
malinconico brit-pop, particolarmente levigato nei suoni e nelle melodie, ma
realizzato da una band che ha scritto pagine importanti del genere. La prima
sequenza di canzoni (Mother-Moving-Reminder)
potrebbe essere quella di un loro greatest hits, ed è solo da Warning Sign che cominciano le
variazioni sul tema, ma anche i primi scricchiolii dell’ispirazione. La
sensazione è che Where You Stand sia
un disco pensato per recuperare il tempo perduto e i clamori dei loro esordi,
magari chiedendo giustizia allo spropositato successo dei ben più furbi
Coldplay. Risultato raggiunto in parte, perché se è vero che le stesse Mother o Reminder sono esempi di come la fine-art
of brit pop non possa prescindere dai Travis, è anche vero che la band
spesso scivola in un dèjà vu (anche altrui, si veda Another Guy che pare 1979
degli Smashing Pumkins o Another Room
che recupera senza nasconderlo i Radiohead persi nel tempo) dando alle stampe
il disco che forse sancisce la fine del loro percorso evolutivo e li promuove
al rango di band storica intenta a riproporre sé stessa all’infinito.
Esattamente quello che stanno facendo quasi tutte le altre band storiche in
fondo.
Nicola Gervasini
martedì 8 ottobre 2013
POLLY SCATTERGOOD
POLLY
SCATTERGOOD
ARROWS
(Mute)
***
L’Inghilterra negli ultimi anni pullula di
personaggi come Polly Scattergood:
ragazze nate con il santino di Bjork sul comodino e una lunga serie di muse
rock e pop (da Debbie Harry a PJ Harvey) da cui attingere a seconda
dell’ispirazione. Ventiseienne dell’Essex, Polly Scattergood ha esordito nel
2009 con il disco omonimo che aveva riscosso qualche buona critica (ma non l’unanimità
che spesso ricevono gli esordi inglesi) e l’attenzione verso un personaggio
eccentrico e sicuramente talentuoso. Arrows potrebbe essere il disco della consacrazione
nel mondo indie, e ha un alto potenziale commerciale, che, per quanto conti
ancora qualcosa nel nuovo mercato discografico, potrebbe anche portarle qualche
vendita interessante. Il sound è sempre un mix di elettronica con occhio
puntato sia sulla new wave anni ottanta che sugli ambienti dance del Manchester
Sound. L’inizio fa ben sperare se siete comunque disposti a entrare in un mondo
fatto al 90% di tastiere e suoni campionati: Cocoon apre le danze con lo spirito di Tori Amos nel motore, la
danzereccia Falling riesce in un
colpo solo ad unire il techno-pop dei primi anni ottanta e i Cure, Machines cala il ritmo e pensa agli
esperimenti elettronici di Kate Bush, Disco
Damnaged Kid promette un ballo che non c’è con buon mestiere. Il disco, dopo
una partenza briosa e intelligente, si adagia poi un po’ troppo nella
riproposizione degli schemi appena elencati, finendo ad affogare in un mare di
tastiere anche quando il brano potrebbe sembrare più che stimolante (Colours Colliding). I momenti di valore
ci sono comunque, il singolo Wonderlust (di
cui gira già da tempo un bizzarro video) ha la forza del tormentone
radiofonico, la piano song Miss You è
dotata di una giusta dose di teatralità brechtiana, ma altrove l’album stenta
un po’ a trovare il colpo del KO. Non è comunque escluso che la sua uscita
possa essere salutata da trombe e fanfare dalla stampa musicale inglese, visto
come riescono spesso ad esaltare fenomeni che poi scompaiono nel giro di due anni,
figuriamoci in questo caso dove comunque c’è della discreta carne al fuoco.
L’attendiamo magari sul palco in Italia per verificarne la tenuta anche dal
vivo.
Nicola Gervasini
domenica 6 ottobre 2013
CASE STUDIES
CASE
STUDIES
THIS
IS ANOTHER LIFE
Sacred Bones
***1/2

Nicola Gervasini
Iscriviti a:
Post (Atom)
Bob Mosley
Bob Mosley Bob Mosley (Waner Bros/Reprise 1972/2024) File Under: Soul Frisco E’ il 1972, il country-rock sta esplodendo come g...
-
NICOLA GERVASINI NUOVO LIBRO...MUSICAL 80 UN NOIR A SUON DI MUSICA E FILM DEGLI ANNI 80 SCOPRI TUTTO SU https://ngervasini.wixsite.com...
-
Jonathan Jeremiah Good Day [ Pias/ Self 2018 ] facebook.com/jjeremiahmusic File Under: il nostro disco che suona… di Nicola Gerva...