martedì 19 novembre 2013

STAR ANNA


  
 Star Anna Go to Hell
[
Spark & Shine Records 
2013]
www.sparkandshine.com

 File Under: bad girl rock

di Nicola Gervasini (11/10/2013)
Il suo secondo album The Only Things That Matters è stato anche un nostro disco del mese nel 2009, e con egual forza avevamo segnalato anche il successivo Alone In This Together (2011), eppure il nome di Star Anna sta faticando a farsi notare sia tra i nostri lettori che in patria, dove resta comunque un fenomeno tutto sommato di nicchia. Forse le manca solo che David Letterman si accorga di lei e le dia la passerella che in questi anni ha garantito a gran parte del mondo rock americano, anche ad artiste molto meno meritevoli di lei. Perché invece ci piace pensare che la ragazza possa diventare un nome importante, anche alla luce di questo Go To Hell, nonostante non sia opera che ci convince quanto le due precedenti. Perché la sua musica è quanto di più intelligentemente reazionario esista al momento: è rock, spesso duro, sporco, vintage, derivativo, essenziale, ma è anche un qualcosa che è pensato per l'oggi. Potrebbe essere la musica che suonerebbero nel 2013 Janis Joplin se fosse ancora viva (la title track ne è un chiaro omaggio) o Joan Jett se avesse voglia di non accontentarsi del suo fedele pubblico raccolto con I Love Rock And Roll.

Ma stavolta Star Anna prova ad ampliare il raggio, magari invadendo con più forza terreni più rootsy alla Lucinda Williams (la strascicata Electric Lights con la sua slide alla David Lindley suonata dall'interessante chitarrista Jeff Fielder, o anche Younger Than) e acquisendo velleità da cantautrice roots (l'iniziale For Anyone, la dolce Mean Kind Of Love o la piano-song Everything You Know). C'è forse meno rock diretto (ma nel finale la veemente e quasi-punkSmoke Signals riporta tutto a casa), qualche giro blues in più (Let Me BePower of my Love), un aria meno da bar-band in favore di arrangiamenti più studiati. Non voglio dire annacquati perché comunque si sente che si è stati attenti a non disperdere l'energia della ragazza in troppi suoni non riproducibili su un palco, ma un cambio di rotta sembra comunque evidente.

Che Go To Hell sia forse anche il tentativo di cogliere un nuovo pubblico lo dimostra persino la copertina, che sottolinea il suo look e atteggiamento da bad girl in stile Pink, oltre l'aver abbandonato i fedeli Laughing Dogs in favore del più professionale co-produttore Tye Baille e di una band di scafati session men. Così Go To Hell risponde meglio alle esigenze del nuovo mercato discografico americano (sempre che ne esista ancora uno degno di questo nome), compresa anche la durata ridottissima (34 minuti) e l'ormai irrinunciabile utilizzo della cover d'autore per far parlare di se (una Come On Up To The House di Tom Waits in versione da taverna). Aggiungete una cartella stampa che enfatizza i complimenti ricevuti dal Pearl Jam Mike McReady e dall'ex Guns N'Roses Duff McKagan e capite quanto si stia imboccando la strada di quello che un tempo chiamavamo mainstream e che oggi forse non è più distinguibile dalle strade alternative. Considerato quanto sia stata deludente l'epopea artistica di Grace Potter, di spazio da conquistare ce n'è…


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