Ma stavolta Star Anna prova ad ampliare il raggio, magari invadendo con più forza terreni più rootsy alla Lucinda Williams (la strascicata Electric Lights con la sua slide alla David Lindley suonata dall'interessante chitarrista Jeff Fielder, o anche Younger Than) e acquisendo velleità da cantautrice roots (l'iniziale For Anyone, la dolce Mean Kind Of Love o la piano-song Everything You Know). C'è forse meno rock diretto (ma nel finale la veemente e quasi-punkSmoke Signals riporta tutto a casa), qualche giro blues in più (Let Me Be, Power of my Love), un aria meno da bar-band in favore di arrangiamenti più studiati. Non voglio dire annacquati perché comunque si sente che si è stati attenti a non disperdere l'energia della ragazza in troppi suoni non riproducibili su un palco, ma un cambio di rotta sembra comunque evidente. Che Go To Hell sia forse anche il tentativo di cogliere un nuovo pubblico lo dimostra persino la copertina, che sottolinea il suo look e atteggiamento da bad girl in stile Pink, oltre l'aver abbandonato i fedeli Laughing Dogs in favore del più professionale co-produttore Tye Baille e di una band di scafati session men. Così Go To Hell risponde meglio alle esigenze del nuovo mercato discografico americano (sempre che ne esista ancora uno degno di questo nome), compresa anche la durata ridottissima (34 minuti) e l'ormai irrinunciabile utilizzo della cover d'autore per far parlare di se (una Come On Up To The House di Tom Waits in versione da taverna). Aggiungete una cartella stampa che enfatizza i complimenti ricevuti dal Pearl Jam Mike McReady e dall'ex Guns N'Roses Duff McKagan e capite quanto si stia imboccando la strada di quello che un tempo chiamavamo mainstream e che oggi forse non è più distinguibile dalle strade alternative. Considerato quanto sia stata deludente l'epopea artistica di Grace Potter, di spazio da conquistare ce n'è… |
martedì 19 novembre 2013
STAR ANNA
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