lunedì 6 luglio 2015

SUGARCANE JANE

SUGARCANE JANE
DIRT ROAD’S END
ArenA recordings
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Non muore mai l’abitudine del duo di coniugi folk nella tradizione americana, e così non è certo nuova la formula dei Sugarcane Jane, coppia di musicisti che si presenta romanticamente mano nella mano fin dalla copertina di questo Dirt Road’s End. Lui è Anthony Crawford, session man che i fans di Neil Young ricorderanno come membro degli Shocking Pinks (con cui Young ha registrato Everybody’s Rockin’) e negli International Harvesters (la band che lo spalleggiò nel tour per Old Ways, apprezzabili nel bel live A Treasure uscito nel 2011), oltre che collaboratore di Dwight Yoakam (grazie al quale ha pubblicato nel 1993 un suo album solista prodotto da Pete Anderson), Steve Winwood e Nicolette Larson. Lei invece è Savana Lee, giovane buskers senza grandi esperienze finché un tour a spalla di Loretta Lynn e tanta vita da musicista di strada non le hanno aperto le porte degli studi di Nashville come autrice e musicista nei dischi, tra gli altri, di Lucinda Williams e Emmylou Harris. Due figure fortemente legate a Nashville e alla country music, che sotto il nickname di Sugarcane Jane offrono però un country-folk da strada che ricorda molto i momenti più rurali dei Bodeans (sarà per la somiglianza della voce di Crawford con quella di Sam Llanas). Dirt Road’s End (che è già il loro quarto titolo) è un disco che, nonostante l’assenza di batteria (ma ci sono mille percussioni di ogni altro tipo), è un album molto ritmato, gioioso e quasi da ballare. Sia l’indiavolato rock acustico di Heartbreak Road o la cavalcata da bisonte della strada di Not Another Truck Song, le canzoni del duo sono perfettamente coerenti con l’immaginario da strada che ha fatto da cornice alla loro carriera, capaci di lanciarsi in country corali alla Gram Parsons come Sugar o in baldanzose gighe folk da festa paesana come Ballad Of Sugar Jane. Ci sanno fare anche con la penna (Home Nights, San Andreas), anche se a livello produttivo il clima decisamente da instant-record fa perdere un po’ i dettagli, e il muro di acustiche, mandolini e mille altri strumenti acustici a volte pare un po’ confuso  e non sempre ben amalgamato, ma pare evidente l’intenzione di ricreare in studio il clima e il suono di una esibizione di piazza. Disco fresco sebbene legato senza troppi voli di fantasia ad una tradizione consolidata. Solo per veri viaggiatori.

Nicola Gervasini

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