Nada Surf
You Know Who You Are
(Barsuk Records, 2016)
File Under: Back to schooldays
Negli anni ottanta
usavamo il termine “college rock” per band come i Nada Surf, oggi non ho ben
idea se nei college americani continui la tradizione di carbonara diffusione
della musica indipendente, o se l’indie anni 2000 è diventato talmente la norma
da non poter più trovare un denominatore comunque nella musica ascoltata dagli
studenti americani. In ogni caso i newyorkesi Nada Surf, band nata nella
seconda metà degli anni 90 quando ormai già il college rock veniva chiamato
alternative rock, se non già indie-rock, stanno cominciando a diventare dei
veri veterani del genere. Parliamo di qualcosa che sta dalle parti del suono
dei primi R.E.M., con chitarre che sanno di Byrds e California anni 60 e
impasti vocali che invece guardano ai Beach Boys. Matthew Caws (voce e
chitarra), Ira Elliot (batteria), Doug Gillard (chitarra) e Daniel Lorca
(basso) fanno parte di quella generazione di musicisti refrattari ai cambi
d’epoca e a nuove logiche di mercato (che forse semplicemente si traducono in
una totale assenza di un mercato gestito per questo tipo di produzioni). Per questo l’unica sorpresa
che si ha nell’ascoltare You Know Who You Are, loro ottavo
album, è quella di quanto questi quattro ragazzi ancora sappiano confezionare
perle di old-pop californiano unendo ingredienti risaputissimi, eppure trovando
un tocco personale che sta pian piano diventando un piccolo marchio di
fabbrica. Faranno meno scena di altre band per orecchie meno allenate, ma chi
ha nel cuore certe costruzioni di sopraffino power-pop troverà quasi geniali
brani come Cold To See Clear, un muro
di chitarre e voci decisamente anni 90 che suona ancora fresco, come anche le
aperture alt-country alla Jayhwaks più poppettari di Believe You’re Mine,o il bel rock urbano di Friend Hospital che pare il risultato di una session tra Johnny
Marr e Jesse Malin (che potrebbe anche essere l’autore anche della title-track
volendo). Il disco in genere ha una quadratura decisamente listener-friendly,
quasi un tocco radiofonico nel suo indugiare più del loro solito su melodie
(rinforzate anche dalle voci di Ken Stringfellow e Dan Wilson dei Semisonic),
persino quando il ritmo accelera come in New
Bird o quando si lambisce il jingle-jangle rock in una Out Of Dark impreziosita dai fiati o in una quasi easy-listening Rushing. Animal invece sembra un brano
di un qualsiasi cantautore di Austin, con acustiche ed elettriche che inseguono
la musica roots. Un cambio di rotta che testimonia ed elegge i Nada Surf a ultimi paladini di
underground-rock che fa tesoro di lezioni inglesi e americane in egual misura,
una sorta di incrocio finale di tutta la storia del rock indipendente, quello
che cerca la canzone e non la sperimentazione fine a sé stessa, e spesso la
trova ancora. E in un era in cui escono miriadi di dischi dove le canzoni con
la C maiuscola sono al massimo 2 o 3 se va bene, comincia ad essere un merito
non da poco. Per nostalgici, ma anche per chi ancora crede in un futuro di
questo rock essenziale.
Nicola Gervasini
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