Rachel Yamagata
Tightrope Walker
(2016, Frankenfish records)
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Non nascondo una certa delusione per come si sta sviluppando
la carriera di Rachel Yamagata. Oggi
non è facile per nessuno fare il salto di qualità, ma lei nel 2008 era proprio
lì, sulla punta del trampolino, pronta a tuffarsi non tanto in un mare di
vendite, quanto però ad entrare nel club dei nomi di punta del nuovo indie-folk
statunitense. Allora il suo secondo album Elephants...Teeth
Sinking into Heart era piaciuto, conteneva alcuni pezzi di livello
superiore misti ad altri più indecisi, ma complici anche le buone
frequentazioni del periodo con Ryan Adams, Conor Oberst, Ben Arthur e Ray Lamontagne,
il suo sembrava un nome da segnarsi nella prima pagina delle proprie future
whishlist. Invece da allora è uscito solo un disco secco e poco significativo
come Chesapeake, oltre a pubblicazioni autoprodotte e vendute tramite il suo
sito, e anche lei è rimasta impantanata nella difficile vita del musicista
fuori-mercato. Tightrope Walker
arriva con l’evidente intento di recuperare un po’ di terreno: è un disco
lungamente pensato (due anni di gestazione), puntigliosamente prodotto, e cerca
fin dalle prime note alla Joe Henry della title-track di sembrare importante e
autoriale, anche nel senso più spocchioso del termine. Arrangiamenti barocchi e
pesanti anche per l’episodio di dark-elettronica di Nobody, episodio in cui la Yamagata fa l’occhiolino alla PJ Harvey degli
anni 90, mentre EZ Target fa incetta
di rumori e si poggia su un minaccioso giro di mandolino alla 16 Horsepower , e
Over affoga una melodia da pop anni
90 in un mare di effetti. Proprio quando si è indecisi se accettare o no questa
sua nuova versione da Black-Vamp, il disco cambia registro, si apre ad
arrangiamenti più classic-rock, con una Let
Me Be Your Girl che sembra rubata ad un disco di Joss Stone, con i suoi
fiati e i suoi cinguettii soul-rock. Break
Apart gioca la carta dello smooth-jazz moderno, I’m Going Back rigira il mazzo con una orchestrazione da colonna
sonora e una piano-ballad che non può far pensare a certi successi di Adele, Rainsong tiene basso il ritmo con una
dolce e tetra ballata che ricorda molto certi ispirati momenti dei Walkabouts. E
infine Black Sheep viaggia ancora
nell’oscurità ma con sonorità più acustiche, ed è solo con la finale Money Fame Thunder che la Yamagata finalmente
non perde di vista la canzone, anche se una batteria pesante da new wave primi
anni ottanta continua ad invadere un po’ le frequenze. Ci avete capito qualcosa
su cosa vi aspetta? Immagino di no. Qui sta il problema: è brava la Yamagata,
ma Tightrope Walker confonde alquanto
le idee su cosa e chi voglia diventare da grande, e visto l’ingente sforzo
produttivo profuso e le troppe idee spese, ha tutta l’aria di poter essere la
sua occasione persa.
Nicola Gervasini
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