Il luogo comune che perseguita
Giorgia da tanti anni è quello di una grande vocalist che ha scelto spesso
produzioni al di sotto delle sue qualità. Non è sempre stato vero, ma anche Oronero (Microphonica), suo decimo album di inediti in 22 anni circa di
carriera, sembra voler confermare il suo status di artista sempre in bilico tra
il mondo della canzone italiana più facile e quello dell’innegabile autorialità
delle sue canzoni. Questione di uomini giusti forse (ancora una volta fa tutto Michele
Canova Iorfida, collaboratore stretto di Tiziano Ferro e Jovanotti), ma anche questi
15 brani fanno capire che sebbene ci sia della vera sostanza dietro il fatto di
avere una gran voce e saperla pure usare bene, ancora troppe volte gli arrangiamenti
cercano la via più scontata e modaiola. Provo ad esempio immaginare ottimi brani
come Posso Farcela, Tolto e Dato, o la
stessa Oronero, con una band che vada oltre lo schema batteria
elettronica/piano/tastiere maestose, e un po’ di rammarico rimane. O magari
immaginare Regina di Notte con un taglio gospel alla Nessun Dolore di Lucio Battisti, invece
sentirla immersa in battiti e trattamenti vocali elettronici da discoteca. Nessuno
si aspetta che Giorgia si metta a fare album da chanteuse naïf alla Nada, ma da
quella che potremmo con gran rispetto considerare la Mina degli anni 2000,
qualche prova di coraggio in più sarebbe ora di pretenderla.
Nicola Gervasini
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