Robert Randolph & The Family Band Got Soul [Sony Masterworks 2017] robertrandolph.net File Under: soul survivor di Nicola Gervasini (29/03/2017) |
Non ci sono molti grandi discorsi da fare quando si parla di Robert Randolph: chitarrista virtuoso e appassionato di slide-guitar, lo avevamo già incontrato in occasione dell'uscita del suo quarto album Lickety Split, un divertente party-record in salsa black. Da sempre seguito da una Family Band che ha parentele di nome e di fatto, Randolph è molto quotato sia come session-man (Los Lobos, Dave Matthews band, Elton John, Robbie Robertson, Buddy Guy tra i tanti), sia come performer, ma i suoi dischi sono rimasti sempre in bilico tra la necessità di non perdere di vista modernità e mercato (soprattutto i primi due album) e quella di dimostrare di essere un grande chitarrista.
Potrebbe essere Got Soul, il suo quinto album, il titolo giusto per guadagnare qualche riconoscimento in più anche per la sua produzione in studio. Non tanto per la qualità dei brani autografi, che restano legati ai cliché della funky-music senza troppa originalità, sia quando toccano le corde della pop-song virata a soul (Be the Change) o della ballata sentimentale accelerata a ritmo gospel (Love Do What It Do). Quello che piace di Got Soul non è quindi tanto la sostanza, quanto la forma, perché fin dalla travolgente accoppiata inziale Got Soul - She Got Soul rinverdisce con efficacia una tradizione di black music corale che riporta ai fasti di Sly and the Family Stone (con i quali ha anche collaborato, non a caso), seppur fuori tempo massimo. Per cui non sono i suoi canonici strumentali a tutta slide ad impressionare (Heaven's Side e Travelin' Cheeba Man), semmai l'ottima costruzione degli episodi più funky come Shake It, Find A Way o la rockeggiante I Want It, o la giusta carica data alla versione di I Thank You di Sam & Dave (ma fu anche una hit degli ZZTop tra gli altri). Finale tutto sudore e Hendrix con Lovesick e l'inno motivazionale di Gonna Be All Right.
Resta da capire come mai i suoi dischi non siano mai stati affiliati a tutto il movimento new-soul degli anni 2000, forse perché inizialmente ha frequentato anche il mondo pop, o forse perché il suo stile chitarristico lo ha spesso portato a toccare corde più legate alla roots-music (l'album We Walk This Road del 2010 era prodotto da T-Bone Burnett e vedeva anche cover di Bob Dylan e Peter Case in scaletta), ma in un momento in cui il genere non sta trovando grandi e significativi sbocchi creativi, anche un album come Got Soul, col suo totale e voluto spirito reazionario, può valere più di un ascolto.
Potrebbe essere Got Soul, il suo quinto album, il titolo giusto per guadagnare qualche riconoscimento in più anche per la sua produzione in studio. Non tanto per la qualità dei brani autografi, che restano legati ai cliché della funky-music senza troppa originalità, sia quando toccano le corde della pop-song virata a soul (Be the Change) o della ballata sentimentale accelerata a ritmo gospel (Love Do What It Do). Quello che piace di Got Soul non è quindi tanto la sostanza, quanto la forma, perché fin dalla travolgente accoppiata inziale Got Soul - She Got Soul rinverdisce con efficacia una tradizione di black music corale che riporta ai fasti di Sly and the Family Stone (con i quali ha anche collaborato, non a caso), seppur fuori tempo massimo. Per cui non sono i suoi canonici strumentali a tutta slide ad impressionare (Heaven's Side e Travelin' Cheeba Man), semmai l'ottima costruzione degli episodi più funky come Shake It, Find A Way o la rockeggiante I Want It, o la giusta carica data alla versione di I Thank You di Sam & Dave (ma fu anche una hit degli ZZTop tra gli altri). Finale tutto sudore e Hendrix con Lovesick e l'inno motivazionale di Gonna Be All Right.
Resta da capire come mai i suoi dischi non siano mai stati affiliati a tutto il movimento new-soul degli anni 2000, forse perché inizialmente ha frequentato anche il mondo pop, o forse perché il suo stile chitarristico lo ha spesso portato a toccare corde più legate alla roots-music (l'album We Walk This Road del 2010 era prodotto da T-Bone Burnett e vedeva anche cover di Bob Dylan e Peter Case in scaletta), ma in un momento in cui il genere non sta trovando grandi e significativi sbocchi creativi, anche un album come Got Soul, col suo totale e voluto spirito reazionario, può valere più di un ascolto.
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