lunedì 18 giugno 2018

OKKERVIL RIVER

Okkervil River
In the Rainbow Rain
[ATO records
/ Self 
2018]
 File Under: Glory of the 80's

di Nicola Gervasini (16/05/2018)Mi piacerebbe poter inviare In The Rainbow Rain degli Okkervil River a Colin Meloy dei Decemberists con un semplice bigliettino con scritto "Forse era questo che intendevi fare?". Colin non ne sarebbe molto felice probabilmente, ma se personalmente ho sempre visto nelle due band le realtà migliori nate in questi anni duemila in un certo ambito che definirei "roots progressista", è proprio sulla necessità di aggiornare il sound che si stanno vedendo delle differenze. Laddove i Decemberists, già secondo me in odore di una svolta fin troppo derivativa in questi anni dieci, hanno probabilmente sbagliato il loro primo disco in carriera con il recente I'll Be Your Girl, abbracciando malamente l'Eighties-sound-revival imperante (e forse ormai già verso il suo tramonto), gli Okkervil River fanno solo un po' meglio con un album molto simile, dopo che già nel 2011 erano stati pionieri con I Am Very Far. Poi però Will Sheff aveva avuto bisogno di tornare all'essenziale per esprimere le proprie tribolazioni esistenziali e così Away nel 2016 aveva riportato tutto alle origini. 

È lui stesso che presenta In The Rainbow Rain come una svolta spensierata e felice per la band, quasi un disco volutamente mainstream e radiofonico, se avesse ancora senso fare queste distinzioni in un mercato che sta diventando ormai praticamente un porta a porta tra artista e ascoltatore (come aveva ironicamente immaginato Jeff Tweedy nel video di Low Key). Sheff recupera quindi l'armamentario sonoro degli anni ottanta, con citazioni più o meno evidenti (alzi la mano chi di voi non si è messo a canticchiare Enola Gay sull'incipit di How It Is?), ma con una attenzione su produzione arrangiamenti da disco per grandi eventi, e già qualcuno ha storto il naso per cotanto sfavillio. Eppure Famous Tracheotomies in qualche modo sembra far presagire un nuovo viaggio nelle oscurità dell'animo di Sheff, solo sorrette da una serie di effetti elettronici che fanno capire che tirerà poca aria di tradizione. Ci pensa The Dream and The Light a far capire che il tono sarà diverso, bel brano folk nella struttura, ma infarcito di tastiere, cori, e addirittura un sax bowiano nel finale, che portano in dote un sound pieno e maestoso.

Con Love Somebody siamo in pieno easy-pop, e con Family Song addirittura si riassaporano melodie alla Prefab Sprout. Anche Pulled Up The Ribbon esagera forse a mettere troppa carne al fuoco (tanto che i cori finali richiamano certi muri di suoni e voci della Electric Light Orchestra), finché Don't Move Back to LA ritrova le chitarre per un brano che ricorda vagamente i Counting Crows più radiofonici di Hard Candy, mentre Shelter Song annega in mille tastiere e non riesce a decollare. Dopo la caraibica External Actor (Sheff che imita Jack Johnson?), chiude Human Being Song tra violini sintetizzati che forse cercano i Cure ma trovano più i Simple Minds. Sheff resta un grande autore e gli Okkervil River mostrano le capacità di essere sempre originali, ma temo che il sound del futuro non sia ancora questo.

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