Stephen Malkmus & The Jicks Sparkle Hard [Domino/ Self 2018] stephenmalkmus.com File Under: 90's Memorabilia di Nicola Gervasini (18/06/2018) |
Nella carriera di qualsiasi grande musicista rock è facile identificare quel particolare momento in cui il fuoco creativo, unito al fatto di trovarsi al momento giusto con l'idea nuova giusta, ha reso storico il suo nome e le sue canzoni. Spesso si tratta di un periodo intenso, ma mai troppo lungo, molte volte coincidente con gli esordi. Poi i casi sono due: o ci si esaurisce e si vive di revival, oppure si continua senza tentennamenti a proporre la propria musica senza più sorprese, ma mantenendo un livello qualitativo comunque invidiabile. Nessuno ad esempio vi nasconderà mai che se Stephen Malkmus si è conquistato un piccolo spazio nell'olimpo del rock, è per quanto prodotto negli anni 90 con i Pavement. Poteva fermarsi lì, e nulla sarebbe cambiato del ricordo e dell'opinione che abbiamo su di lui.
Ma questo non deve suonare come una condanna della sua ormai consistente carriera solista (sempre seguito dai fedeli Jicks anche nell'intestazione degli album), che dal 2001 a oggi ha prodotto sette album senza troppe variazioni nel riproporci quel songwriting compassato e stralunato. Se ci fate caso, di un disco di Malkmus da quindici anni a questa parte nessuno parla mai male, ma neanche mai si grida al capolavoro. Invece Sparkle Hard sembra aver diviso per la prima volta i fans, ma è facile capire anche perché. A 52 anni infatti Malkmus sembra entrato in quella fase della vita in cui si rende conto che il suo passato è il tesoro più grande che gli rimane. Non è un caso che da qualche tempo i brani dei Pavement siano tornati a invadere le scalette dei suoi concerti, e non è un caso che questo album proponga un sound decisamente nostalgico nello scavare nella musica di 20 anni fa. Cast Off ad esempio sembra un brano dei Wilco dell'era Being There, con un piano minaccioso stracciato da chitarre distorte, e fa da introduzione a Future Suite, un bell'intreccio di voci e chitarre da West-Coast acida che fa capire quanto anche uno come Jonathan Wilson gli debba molto.
Più melodica Solid Silk, con addirittura un bel duello davvero inedito tra archi e tastiere nel mezzo, mentre Bike Lane si trasforma in un rockeggiante tormentone con un piede ben piantato nel glam anni 70. Più classicamente sulle sue corde la ballata Middle America, ma Rattler rimischia le carte facendo un po' confusione tra cambi di tempo, suoni acidi e addirittura una voce filtrata dall'autotune (scandalo!), prima che Shiggy riesumi in pieno il sound Pavement. Il pezzo forte dell'album è sicuramente la lunga Kite, ma nel finale c'è ancora tempo per qualche esercizio di stile come la pop-song alla Bacharach Brethren, una Refute in cui si fa quasi il verso al Ryan Adams era-Whiskeytown, e una Difficulties con fiati, cori a fare da contorno ad un brano che sa molto di Eels.
Prodotto senza risparmiarsi da Chris Funk dei Decemberists, Sparkle Hard è un bigino sulla musica degli ultimi 25 anni fatto da un artista che ormai fa pienamente parte del corpo docente di una scuola classic-rock che speriamo non smetta mai di avere alunni.
Ma questo non deve suonare come una condanna della sua ormai consistente carriera solista (sempre seguito dai fedeli Jicks anche nell'intestazione degli album), che dal 2001 a oggi ha prodotto sette album senza troppe variazioni nel riproporci quel songwriting compassato e stralunato. Se ci fate caso, di un disco di Malkmus da quindici anni a questa parte nessuno parla mai male, ma neanche mai si grida al capolavoro. Invece Sparkle Hard sembra aver diviso per la prima volta i fans, ma è facile capire anche perché. A 52 anni infatti Malkmus sembra entrato in quella fase della vita in cui si rende conto che il suo passato è il tesoro più grande che gli rimane. Non è un caso che da qualche tempo i brani dei Pavement siano tornati a invadere le scalette dei suoi concerti, e non è un caso che questo album proponga un sound decisamente nostalgico nello scavare nella musica di 20 anni fa. Cast Off ad esempio sembra un brano dei Wilco dell'era Being There, con un piano minaccioso stracciato da chitarre distorte, e fa da introduzione a Future Suite, un bell'intreccio di voci e chitarre da West-Coast acida che fa capire quanto anche uno come Jonathan Wilson gli debba molto.
Più melodica Solid Silk, con addirittura un bel duello davvero inedito tra archi e tastiere nel mezzo, mentre Bike Lane si trasforma in un rockeggiante tormentone con un piede ben piantato nel glam anni 70. Più classicamente sulle sue corde la ballata Middle America, ma Rattler rimischia le carte facendo un po' confusione tra cambi di tempo, suoni acidi e addirittura una voce filtrata dall'autotune (scandalo!), prima che Shiggy riesumi in pieno il sound Pavement. Il pezzo forte dell'album è sicuramente la lunga Kite, ma nel finale c'è ancora tempo per qualche esercizio di stile come la pop-song alla Bacharach Brethren, una Refute in cui si fa quasi il verso al Ryan Adams era-Whiskeytown, e una Difficulties con fiati, cori a fare da contorno ad un brano che sa molto di Eels.
Prodotto senza risparmiarsi da Chris Funk dei Decemberists, Sparkle Hard è un bigino sulla musica degli ultimi 25 anni fatto da un artista che ormai fa pienamente parte del corpo docente di una scuola classic-rock che speriamo non smetta mai di avere alunni.
Nessun commento:
Posta un commento