sabato 21 marzo 2020

BEN WATT

Ben Watt
Storm Damage
[Caroline/ Universal 2020]
benwatt.com

 File Under: pop veteran
di Nicola Gervasini (19/02/2020)

Doveva accadere prima o poi che il britannico Ben Watt, ormai non lontano dal traguardo dei sessant’anni di età e dai quaranta di carriera, decidesse di passare dalla tesi alla sintesi. Storm Damage, terzo capitolo della sua nuova carriera solista dopo i bellissimi Hendra e Fever Time (ma quarto contando l’antico esordio di North Marine Drive del 1983), è infatti un disco che per la prima volta nella sua storia fa tesoro di tutte le influenze stilistiche abbracciate nel corso degli anni. L’iniziale Balanced on a Wire lo rende subito evidente: c’è l’indie-folk dei suoi ultimi lavori nella struttura delle canzone, c’è quel tocco leggero di elettronica dei tempi degli anni Novanta, quando i suoi Everything But The Girl salirono con successo sul carro del trip-hop, ma c’è anche il raffinato jazz-pop per cui la sigla era divenuta celebre negli anni ottanta, prima che la compagna di viaggio Tracey Horn decidesse di seguire strade separate, anche se solo artisticamente (curiosamente i due si sono sposati parecchio tempo dopo la fine della band).

Nessun cambio di rotta dunque, solamente, rispetto ai due album precedenti, Watt ha deciso di ampliare lo spettro di suoni e influenze, e così anche un brano pianistico come Summer Ghosts arriva a ricordare un certo ispirato pop-elettronico alla John Grant, quando invece A Retreat To Find intreccia un giro acustico folk con un contrabbasso jazz, mentre Figures in The Landscape ripropone duelli tra orchestrazioni e pianoforte alla Style Council. Molto bella Knife In the Drawer, sempre in bilico tra basi jazz e sperimentazioni elettroniche, mentre la lunga e delicata Irene, brano in cui viene aiutato da Alan Sparhawk dei Low, fa giocare benissimo al ricamo una chitarra con un Wurlitzer, preludio ad una più sintetica Sunlight Follows The Night che riporta a certo brit-pop anni 90 alla Verve. Completano il quadro Hand, altra malinconica piano-song che oggi può ricordare molto il lavoro di Bill Fay, e You’ve Changed I’Ve Changed, brano che torna al pop sofisticato dei suoi anni 80 (e ricorda molto anche i Blue Nile), prima che il finale di Festival Song faccia dialogare piano e violoncello chiudendo in tinte grigie un disco davvero intenso.

Registrato in trio, accompagnato da Rex Horan al contrabbasso e Evan Jenkins alle percussioni, Storm Damage è un viaggio lirico di un uomo che cerca nella sfera personale le risposte alle angosce derivate dal contesto politico, qui descritto con toni pessimistici, se non proprio sprezzanti. È un’opera che ha forse l’unico limite nell’essere un riassunto delle puntate precedenti nonostante l’evidente grande sforzo produttivo profuso, ma mantiene il nome di Watt nelle sfere alte dell’attuale panorama di artisti “storici”, a conferma di quanto la vecchia guardia non abbia ancora nessuna intenzione di abbandonare il campo.

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