Giant Sand
Glum (25Th Anniversary Edition)
[Fire Records/ Goodfellas 2019]
howegelb.com
File Under: burn sand
di Nicola Gervasini (26/11/2019)
Sono praticamente certo che se prendessimo dieci fan dei Giant Sand e chiedessimo loro di indicare il disco migliore della sigla, avremmo dieci risposte diverse. Nella loro lunga e copiosa carriera, ancor più corposa se si considerano tutti i progetti di Howe Gelb e si aggiunge l’epopea dei Calexico, nata comunque come costola del gruppo (un raro caso di side-project che diventa più popolare della sua origine), di dischi belli e importanti ne hanno fatti tanti, e anche in epoche molto diverse, se è vero che anche in questi anni Dieci hanno detto la loro con il bel Tucson del 2012.
Sicuramente però qualcuno citerà Glum, il disco che nel 1994 in qualche modo riportò in auge la sigla dopo un periodo in cui anche la critica li stava un po’ perdendo di vista, travolti dalle nuove ondate di rock portati in dote dagli anni 90. E sì che solo due anni prima l’album Center Of Universe aveva tentato di coniugare il loro stile (si usa da sempre definirlo “desertico”, per quel che può significare) con i nuovi attriti elettrici e sperimentali che arrivavano dall’affiorare del mondo alternative degli 80, ormai tutti accasati presso qualche major a raccogliere finalmente quanto seminato. Quel disco per molti è il loro vero capolavoro oscuro, ma fu anche un mezzo flop che li portò a fare un passo indietro con il più convenzionale Purge e Slouch del 1993. Con Glum però Gelb compie il coraggioso atto di affidarsi ad un produttore come Malcolm Burn, uno che stava vivendo un momento di grazia dopo anni passati a fare l’aiutante di Daniel Lanois (che qui concede i suoi studi di New Orleans per la registrazione del disco), e che sul gruppo costruisce un suono pressoché perfetto che costituirà di base lo schema per tutte le loro produzioni future.
Ma a girare perfettamente è anche la band, con il duo Joey Burns/ John Convertino ormai pienamente protagonista (ascoltate il finale di Happenstance) e ormai totalmente convinto dei propri mezzi non comuni (i Calexico nasceranno l’anno dopo infatti), e un Chris Cacavas che sguazza dentro gli arrangiamenti sempre molto costruiti voluti da Burn (sentitelo in Frontage Road o Helvakowboy Song). In più una serie di ospiti che vanno dal dobro di Rainer Ptacek che dà benzina a Yer Ropes, al violino di Lisa Germano che interviene a delimitare le armonie, alla voce di Victoria Williams che impreziosisce la pianistica Spun o al solito Peter Holsapple nel suo ruolo ideale di membro aggiunto. Gelb mostra qui il suo grande ecclettismo, passando da cavalcate elettriche alla Dinosaur Jr come Painted Bird al rauco outlaw-country di Left, anche questo pronto ad esplodere a metà del percorso. E ai margini la partenza con una title-track che riprendeva a pieno titolo l’eredità dei Thin White Rope nel definire percorsi elettrici tra la sabbia, e un finale puramente nostalgico con il vecchio cowboy Pappy Allen (fondatore di un noto ristorante e locale per suonare in stile western chiamato Pappy & Harriet's a Pioneertown) che canta il classico di Hank Williams I'm So Lonesome I Could Cry.
Insomma, coordinate precise per far capire da dove veniva e dove voleva andare questa musica, che in questa nuova ristampa appare ancora più bella e attuale, quasi che Glum abbia rappresentato per Gelb e soci un vero e proprio punto di arrivo, anche se poi titoli come Chore of Enchantment del 2000 o Is All Over the Map del 2004 svilupperanno ulteriormente il concetto. La nuova edizione della Fire Records attua una operazione strana, eliminando le bonus tracks che la stessa etichetta aveva incluso in una edizione del 2011 (che era allora la prima ristampa uscita fin dal 1994), e sostituendole con 9 tracce derivanti dalle session a Santa Monica del 10 giungo 1994 definite “Morning Becomes Eclectic, KCRW”, interessanti, anche se slegate dal disco come sonorità.
Inoltre, va detto che nella versione CD di queste nove ne troverete solo due (World Stands Still e I Wish You Love), per cui è evidente l’intenzione di portarvi ad acquistare il doppio vinile. Operazione che sinceramente crea un po’ di confusione (visto che l’etichetta è la stessa, perché non fare una Deluxe Edition con sia queste 9 nuove registrazioni e le 6 outtakes del 2011?), ma che comunque ci riporta a riascoltare uno dei dischi cardine degli anni Novanta, definito come il disco migliore della band persino dallo stesso Gelb sul loro sito, un must have per capire come mai ancora oggi la roots music si suona così.
domenica 1 marzo 2020
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