sabato 21 marzo 2020

GREG DULLI

Greg DulliRandom Desire
[BMG 2020]
gregdulli.com

 File Under: Solo
di Nicola Gervasini (16/03/2020)


Quando si raccontano gli anni 90 oggi, e magari si fa l’elenco di chi è meglio sopravvissuto nel tempo (artisticamente, ma purtroppo spesso nel vero senso della parola), a volte ci si dimentica di Greg Dulli. Non tanto magari dei suoi Afghan Whigs, il cui album Gentleman del 1993 (senza dimenticare Congregation o Black Love) finisce sempre in qualsiasi lista dei "must have" dell’epoca, quanto della sua carriera degli anni 2000. Che è stata tutto sommato regolare, con la sigla dei Twilight Singers a farla da padrone con cinque album che forse non hanno fatto epoca, ma sono sempre stati trattati con rispetto da critica e pubblico, e l’effimero super-duo dei Gutter Twins, creato con Mark Lanegan.

Evidentemente un percorso che non era abbastanza neanche per lui, se è vero che negli anni più recenti Dulli ha sentito il bisogno di riunire la vecchia sigla per la quale è più riconosciuto, in occasione di due album (Do to the Beast del 2014 e In Spades del 2017) accolti da alterne fortune e risultati artistici alquanto discussi. Random Desire è il primo vero album a suo nome, se consideriamo Amber Headlights del 2005 soltanto come una breve raccolta di demo di brani destinati ad un progetto dei Twilight Singers, poi abortito per la morte di Ted Demme. E anche questa volta arriva dopo la morte di un collaboratore stretto, il chitarrista degli Afghan Whigs Dave Rosser, lutto che getta una patina di tristezza su un disco registrato in piena solitudine tra vari studi (non a caso lui cita Todd Rundgren tra le influenze presenti), con l’aggiunta di qualche sporadico intervento di session-men esterni.

E forse proprio perché libero dal condizionamento di dover suonare come un disco degli Afghan Whigs a tutti costi, che aveva secondo me reso non sempre fluidi i due dischi precedenti, qui Dulli dimostra di essere pronto ad entrare nella sua era matura (ha ormai 55 anni pure lui…). Lo fa con un disco “solista” a tutti gli effetti, in cui esaurite le appartenenze ad un certo rock che fu nei primi brani (Pantomina resta legata al mondo Afghan Whigs, Sempre e Marry Me sono un mid-tempo e una ballatona acustica da classic-rock), Dulli si butta nel mondo di una canzone adulta fatta da piano-songs (Black MoonSlow Pan) e orchestrazioni che un tempo mai avremo sospettato di poter trovare in un suo disco (Scorpio o Lockless), con inevitabili inserti elettronici un po’ ovunque.

Operazione coraggiosa la sua, e per certi versi anche riuscita, nonostante manchi al suo songwriting il respiro del grande autore (anche se It Falls Apart resta però un bel centro al bersaglio), e alcuni esperimenti come The Tide rimangano un po’ a metà strada tra vecchio stile e nuove necessità di ampliamento di visuale. Un disco affascinante anche se non del tutto risolto, ma che sa di inizio di qualcosa che vale la pena seguire in futuro.

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