C’era una volta la Musica. Per Ennio Morricone
Penso che non esista traguardo
più grande per un musicista di quello di veder scritto in una qualsiasi
recensione di un disco altrui “un brano alla…” con il proprio nome
accanto. Già, perché poi i “brani alla…” sono dei veri e propri generi
musicali, legati ad un nome specifico, ma diventati punto di riferimento estetico
e stilistico per chiunque. E così se vi dico “un pezzo alla Ennio Morricone”
non ho bisogno di passarvi anche un link di una delle sue colonne sonore perché
voi abbiate già bene in mente di cosa si parla. I fischiettamenti, gli urletti
(“ah-ee-ah-ee-ah” secondo un coccodrillo del Washington Post che è già
entrato nella storia, ma aprirei un dibattito sulla correttezza
dell’onomatopea), le armoniche piangenti, le campane che suonano nei deserti, e
quelle chitarre suonate sui toni bassi o riverberate. Insomma, il suono era
questo a grandi linee, ma sappiamo benissimo che questo era solo il Morricone
sentito nei film di Sergio Leone e in tanti altri spaghetti-western, perché chi
ha studiato poi bene l’artista sa che quel sound, rielaborato dal mondo delle colonne
sonore dei western classici americani, era solo una piccola fetta del suo
immaginario sonoro. Che tornò buono per il grande cinema di azione o di
sentimenti, così come per i tanti film “di cassetta” (per non dire di “serie B”
o “popolari”, come li avrebbe definiti un critico cinematografico quarant’anni
fa).
La grandezza di Morricone stava
nella sua cultura musicale, immensa, nata nel mondo delle orchestre Rai e della
casa discografica RCA, dove musica classica, leggera, jazz, e il nuovo rock che
veniva dall’estero, venivano passati al setaccio per dare in pasto al pubblico
“generalista” orchestrazioni per spettacoli televisivi, fiction RAI o film.
Musiche che rappresentano una delle più grandi e mai troppo valutate eredità
culturali del secolo scorso. Morricone è stato dunque la punta di diamante di
una schiera di autori come (dimenticandone tanti) Nino Rota, Pino Donaggio, Fabio
Frizzi, financo ad arrivare agli Oliver Onions dei fratelli De Angelis che oggi
risuonano nella musica di tanta musica indie italiana, e non parlo solo dei Calibro
35.
Abbiamo fatto grande cinema, e
l’abbiamo musicato ancora meglio a volte. E se Morricone è stato il migliore è
stato proprio perché si è rivelato il più poliedrico, il più attento a tutto
quello che succedeva nel mondo della musica. Ha, come tutti gli autori di
colonne sonore, “rubato” e preso a prestito dalla musica del momento, restituendo
però sempre il maltolto in una veste migliore, a volte più elegante, a volte
semplicemente completamente rivisitata alla sua maniera. Riascoltatevi (anzi,
rivedetevi) The Mission, il film di Roland Joffè con Robert De Niro del 1986,
vi troverete tracce di tutto l’immaginario musicale del secolo scorso, impastate
dalla sua inconfondibile mano. Molte delle musiche di Morricone vivono anche
senza le immagini per cui sono nate, e sicuramente vale la pena anche farsi una
sua discografia essenziale, ma alla fine il vero incontro che faremo con lui
anche dopo la sua morte è sullo schermo, grande o piccolo che sia visti i
tempi, perché la sua arte risplende al meglio in mezzo ai colori di quei registi
che meglio hanno saputo apprezzarla e utilizzarla.
Per dirla come la canzone che gli
U2 gli dedicarono apertamente nel 2009 (Magnificent), Addio Magnifico.
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