lunedì 11 gennaio 2021

TREES

 


Trees

Trees (50Th Anniversary edition)
[Earth Recordings 2020]

 Sulla rete: earthrecordlabel.com

 File Under: brit-folk cult records

di Nicola Gervasini (20/11/2020)

Esiste il successo di vendite, ed esiste il diventare un cosiddetto “cult-record”, e spesso le due cose non vanno di pari passo. Anzi, nella mente del fan accanito, sovente il primo aspetto esclude il secondo a priori. Ma è innegabile che a rivalutare la storia della musica a distanza di anni, ci si rende conto di come la tradizionale narrazione della stessa sia stata figlia di tanti elementi che con l’opera c’entrano poco, tra cui anche la reperibilità di un titolo. Se un disco come On The Shore degli inglesi Trees è diventato il classico titolo da citare nei social quando si parla di “dischi dimenticati da recuperare” solo negli anni 2000, è frutto non solo del fatto che molta della musica del nuovo millennio parte proprio da queste sonorità, ma anche dal fatto che molte etichette hanno trovato solo in questi anni finalmente conveniente ristampare e riscoprire artisti che per almeno trent’anni erano rimasti relegati ad un passaparola tra pochi (è il caso Vashti Bunyan, Bill Fay, Linda Perhacs e tanti altri).

On The Shore
, per esempio, album del 1971, è stato ristampato in cd nel 1993, ma a parte una edizione giapponese nel 2001, si è dovuto aspettare il 2007 per una nuova e più reperibile ristampa, voluta dalla Sony, che aveva evidentemente subodorato l’”hype” di cui il disco godeva. Il suo fratello, The Garden Of Jane Delawney, album licenziato dalla band nel 1970, ha dovuto attendere il 2008, ristampato solo per sfruttare le soddisfacenti vendite della riedizione dell’altro disco. Oggi è la Earth Recordings a decidere di pubblicare un bel cofanetto di 4 cd/lp per celebrare i 50 anni dal primo album, che intende dare la parola definitiva sulla storia di questo fugace e sfortunato gruppo dell’era del brit-folk.

Ma andiamo con ordine: i Trees nacquero nel 1969 in una Londra presa da piena Fairport Convention-mania, e alla loro formula si rifacevano la voce di Celia Humphris, le chitarre di Barry Clarke e David Costa, e la sezione ritmica di Bias Boshel (anche autore di tutti i brani originali) e Unwin Brown. Il primo disco, The Garden of Jane Delawney, arrivò nell’aprile del 1970 lasciando ben pochi ricordi di sé, se non una cover della title-track registrata dalla chanteuse Françoise Hardy nel suo album If You Listen del 1972, replicata poi nel 1988 dagli All About Eve (ma relegata al rango di b-side). Eppure, fin dal lungo e continuo assolo di elettrica che sostiene in maniera del tutto non tradizionale Nothing Special, c’era da capire che, se il cantato della Humphris rimaneva nei ranghi senza poter competere in personalità con Sandy Danny o Jacqui McShee dei Pentangle, la sei corde di Clarke rappresentava invece una novità molto significativa, in quanto non suonava come un chitarrista di classico folk acustico che si era inventato un modo di suonarlo anche elettrico (come fece, con immenso merito, Richard Thompson), ma di un vero e proprio chitarrista rock, con tanto di riff alla Chuck Berry piazzati a commento di nenie da puro folk britannico. Per il resto il disco indulgeva molto su una serie di traditional già parecchio rivistati (She Move Through The Fair su tutte), ma anche qui il trattamento fatto a The Great Silkie per esempio, (standard proposto anche da Joan Baez sul suo secondo album del 1961), partiva in maniera quasi scolastica, per esplodere in una jam di chitarre acide degna dei Quicksilver Messenger Service, con un gran lavoro in pura salsa psichedelica del basso di Boshel. Memorabili restano comunque la sognante title-track, e la lunga Lady Margaret, con la sua ennesima cavalcata di chitarre quasi da West Coast nel mezzo.



On The Shore uscì a gennaio del 1971, sempre prodotto dall’esperto Tony Cox, e caratterizzato da un’iconica copertina che ritraeva la figlia di Tony Meehan, batterista degli Shadows. Era in verità il classico colpo finale di una formazione già in odore di scioglimento, un disco registrato in fretta, e pure con una certa confusione. Teoricamente un disco molto meno curato del precedente, ma probabilmente fu proprio quell’atmosfera un po’ decadente che lo pervade a decretarne maggior fortuna postuma. La formula comunque non cambiava, con più brani tradizionali (Soldier Three, Little Sadie, Polly on The Shore, la notissima Geordie), rese con una semplicità che quasi invade il campo degli Steeleye Span, e solo due originali come la tesa Murdoch. L’epicentro del disco sono i dieci e minuti e passa di Sally Free And Easy, una cover della folker Cyril Tawney (ne esistono parecchie versioni, dai Pentangle a Marianne Faithfull, e pure Bob Dylan la registrò per The Times They’re A-Changing, escludendola però), con il piano suonato da Bias Boshell in grande evidenza, e la solita propensione alla jam con chitarre in libertà. Quello che cambia leggermente è il tipo di assoli, molto meno lunghi e leggermente più fedeli al genere brit-folk (quello lungo di Streets of Derry si avvicina di più alla lezione di Richard Thompson), anche se Clarke si concede una esibizione al limite dell’ hard rock in While the Iron is Hot.




L’edizione per i 50 anni aggiunge due dischi con un mix di versioni demo, originali remixati, qualche esibizione recuperata dai tour o prestata alla BBC. Tutto materiale filologicamente interessante, anche se non aggiunge poi molto a quanto espresso già dai due album ufficiali, ma che rende giustizia alla band con una registrazione pulita e precisa. La storia dei Trees finì subito dopo, con una breve edizione ricreata nel 1972 per un tour, e con Costa e Boshell che nel 2008, in seguito alle acclamate ristampe, fecero un tour col significativo nome di On The Shore Band. Boschell, vera mente del gruppo, continuò la carriera anche in band blasonate come i Barclay James Harvest e i Moody Blues, mentre Celia Humphris ha continuato la carriera come corista. E se Clarke e Browne hanno abbandonato le scene per fare rispettivamente il gioielliere e il maestro scolastico, David Costa sfruttò le sue capacità grafiche per curare l’artwork degli album Goodbye Yellow Brick Road di Elton John e A Night At The Opera dei Queen, divenendo uno di più ricercati art director del mondo rock (per Elton John ha curato più di una decina di artworks dei suoi album fino al 2006).

Box consigliatissimo, si tratta di dischi senza tempo che suonano ancora moderni, e credo che neanche i Trees stessi avrebbero mai scommesso su questo quando li registrarono
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