Bob Dylan
Springtime
in New York: The Bootleg Series Vol- 16
(Columbia,
2021)
File Under:
You play the guitar on the MTV
È singolare che tra i meme/gif
più utilizzati oggi dagli utenti dei social per commentare un eventuale stato
di totale disagio, ci sia l’immagine di Bob Dylan perso dentro il coro della
canzone benefit We Are The World del 1985, eppure proprio quel Dylan,
spaesato e desideroso di essere in qualunque posto che non fosse un video di
MTV, è quello che più abbiamo in testa quando pensiamo ai suoi anni 80. Un uomo
fuori dal tempo, incapace di vestire i panni di un decennio che pareva così
lontano da lui. Eppure, lui ci aveva provato, magari con l’improbabile giacca
che il regista Paul Schrader gli fece vestire nel video di Tight Connection
to My Heart (e che ritroviamo simile anche nella copertina di Empire
Burlesque), o l’improbabile mise da hard-rocker con giacca in pelle e orecchino
pendulo mostrato nell’infelice film Hearts Of Fire del 1988. I suoi anni 80 erano
però nati in altro modo, cogliendolo in pieno fervore artistico/spirituale con
album come Saved e Shot Of Love, che ai tempi furono anche selvaggiamente
massacrati dalla critica, e si chiuderanno poi con la storia completamente
differente di Oh Mercy, disco che però già lo proiettava nei 90. In mezzo ci fu
un periodo di blocco creativo che lo stesso Dylan ha descritto nel libro
Chronicles Vol 1, quando pare non abbia più composto quasi nulla almeno tra il
1984 e il 1988. Ma a salvare il tutto ci fu un momento davvero creativamente
felice che portò all’album Infidels del 1983, ma, di fatto, diede materiale e
spunti sufficienti a confezionare anche il grosso dei tre capitoli successivi
(Empire Burlesque, Knocked Out Loaded e Down in The Groove). E già il terzo
volume delle Bootleg Series del 1990 aveva evidenziato come anche l’opera di
recupero di inediti e scarti successiva avesse lasciato nel cassetto veri e
propri capolavori, Blind Willie McTell su tutte, probabilmente ritenuta
troppo lontana dalla filosofia degli anni 80 per essere pubblicata, o perlomeno
recuperata su dischi poveri di contenuti che sicuramente ne avrebbero giovato. Per
questo Springtime in New York era uno dei volumi più attesi di
questo lungo riordino dei suoi archivi, e che sia stato anche lasciato in coda
è significativo anche del poco amore che Dylan ha comunque conservato per il
periodo. In ogni caso se poi il meglio era già stato pubblicato nel 1990 (ad
esempio brani importanti come Foot Of Pride, Need A Woman o Angelina
vengono qui riproposti in altra versione), questa volta non c’è da rimanere
delusi, sia che decidiate di prendere l’essenziale da due CD o l’edizione da 5.
Certo, non a tutti interessa risentire Infidels quasi al completo in versione pressoché
simile (Man Of Peace è l’unico brano ignorato anche a questo giro), ma
ad esempio le registrazioni alternative dei brani di Empire Burlesque sono
spesso spogliate dai pesanti interventi in sede di post-produzione di Arthur Baker,
conosciuto per il lavoro coi New Order e Afrika Bambaataa, che anni dopo dichiarerà
il proprio pentimento per un trattamento che lui stesso giudicò peggiorativo (ma
in linea con gli ordini impartitogli dalla Columbia). E
poi c’è sempre da “maledire” Dylan per alcune scelte, come quella di tagliare Death
Is Not The End nella versione pubblicata tardivamente su Down In The Groove
(perché poi non si sa, visto che il disco durava pochissimo e spazio ce n’era
in abbondanza), quando qui scopriamo che il brano aveva una coda gospel che lo
valorizzava parecchio. Oppure perché non dare un senso ad un live-record poco
utile come Real Live del 1984 con un inedito come Enough is Enough che viene da quel tour, oppure perché
lasciare nel cassetto brani che meritavano miglior luce come Too late, Let’s
Keep It Between Us (questa la pubblicò Bonnie Raitt) o Don't Ever Take
Yourself Away. Per il resto, stringi stringi, il materiale veramente nuovo
non è tantissimo se non si contano anche le tante cover mai pubblicate come Straight
A's in Love di Johnny Cash, Angel Flying Too Close to the Ground di
Willie Nelson o Baby What You Want Me to Do di Jimmy Reed registrata per
Empire Burlesque, e le ottime cover contenute nelle prove per il tour di Shot
Of Love (e qui di chicche ce ne sono parecchie) o classici come Green, Green
Grass of Home, Let It Be Me, e molte altre. La confezione e la scelta dei
pezzi sono come al solito curati molto bene, e probabilmente questo sedicesimo
capitolo completa il lavoro di recupero dei suoi anni più storici, perlomeno
per quello che si sa delle sue session perdute prima degli anni 2000, lasciando
aperta la porta a eventuali produzioni più recenti non date in pasto alle
stampe, o al tantissimo materiale live che immaginiamo sia stipato negli
archivi della Columbia. Ma con Bob Dylan, si sa, non si può mai dire con
certezza cosa succederà. A lui piacciono le sorprese.
Nicola Gervasini
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