Cat Power – Covers
Domino, 2022
Diciamoci
la verità, sette album in 22 anni, dei quali ben tre sono di cover, non danno
una immagine di grande produttuivtà creativa, ma fin dal The Covers Record del
2000, Cat Power non ha mia nascosto di considerarsi anche e forse
soprattutto una interprete. E così dopo che Wanderer nel 2018 aveva un po’
riconciliato Chan Marshall con il suo pubblico, soprattutto quello della prima
ora, rimasto deluso dalle non proprio riuscitissime divagazioni di Sun del
2012, la Power torna a rileggere songbooks altrui, chiudendo così una triade
che aveva in Jukebox del 2008 il punto centrale. Se Jukebox era dal punto di
vista produttivo una sorta di ottimo compendio al “soul-folk” di The Greatest,
questo Covers (forse magari un titolo più originale lo meritava però…)
si distacca dai suoi predcessori cercando di amalgamare classici vecchi e nuovi
in uno stile che unisce la vena indie-folk della prima ora, con le
sperimentazioni più recenti. Al di là di quello che poi uno può trovare nella
singola interpetazione di brani magari già più che amati (ad esempio
personalmente trovo azzeccata la These Days di Jackson Browne perché guarda con
rispetto alla primissima versione di Nico, mentre invece l’epica Against The
Wind di Bob Seger ne esce un po’ distrutta nello spirito), quello che un po’
infastidisce stavolta è che più che di un omaggio complessivo, si tratta di un
gioco, se non quasi una sfida, a rendere propri e uniformi materiali
apparentemente inconciliabili come brani di Frank Ocean o dell’amica Lana Del
Rey (la sua White Mustang resta una delle cose più riuscite), con classici dei
bassifondi degli anni Ottanta come Here Comes a Regular dei Replacements o il
classico dei Pogues, A Pair of Brown Eyes, per non parlare di standards
come I’ll Be Seeing You di Billie Holiday o il suo consueto atto d’amore per la
country music con It Wasn’t God Who Made Honky Tonk Angels di Kitty Wells.
Paradossalmente le cose migliori arrivano laddove non ci si aspetta nulla,
perché Pa Pa Power dei Dead Man’s Bones dell’attore Ryan Goslin non se la
ricordava nessuno, e qui ne esce come uno dei pezzi più notevoli, oppure anche
grandi nomi come Iggy Pop o Nick Cave vengono riletti in episodi poco celebrati
come Endless Sea (era su New Values del 1979) o I Had a Dream Joe, brano la cui
enfatica teatralità dell’originale ben si sposa con il suo modo di cantare. C’è
tempo anche per l’auto-cover di Unhate, remake della Hate che era su The
Greatest, piccolo tripudio di voci sovraregistrate che esalta il suo lato più coraggioso
e musicalmente autarchico. Nel complesso però se The Covers Album pareva il
giusto elenco di influenze che avevano animato i suoi primi quattro album (dove
comunque non erano mancate altre cover), Jukebox la dichiarazione di raggiunta maturità
e padronanza dei propri mezzi (tanto da uscirne vincente anche da una rilettura
di New York, New York di Liza Minelli), Covers pare più un disco in cui Cat
power ha voluto sviluppare nuove idee stilistiche, ma senza rischiare di
sprecare brani propri in un prodotto che appare riuscito solo in parte, e forse
inesorabilmente destinato ad apparire minore nell’ambito della sua discografia.
VOTO 6,5
Nicola Gervasini
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