Elvis Costello & The Imposters
The Boy
Named If
(Capitol/EMI)
File Under:
Pump it Up Again
Anno 1978, Elvis Costello
realizza This Years Model, forse il massimo punto di arrivo di tutto il
pub-rock inglese dell’epoca, con quel suo mix di rock americano, ritmi
tarantolati della nuova new wave, e pop inglese, che ha reso unico il suo
stile. A suonare con lui c’erano Stevie Nieve al piano, e Pete Thomas alla
batteria, cioè il 66% degli Attractions.
Anno 2022, Elvis Costello
realizza The Boy Named If, un deciso ritorno,
44 anni dopo, al pub-rock, con quel suo classico mix di rock americano, ritmi
tarantolati della new wave che fu, e pop inglese, che conferma come unico il
suo stile. A suonare con lui ci sono ancora Stevie Nieve al piano e Pete Thomas
alla batteria, cioè il 66% degli Imposters (al basso oggi c’è Davey Faragher).
Dove sta la differenza quindi? Non
è tanto sul fatto che forse questo disco chiude definitivamente il cerchio di una
ricerca musicale che è arrivata a toccare anche jazz e classica prima di
tornare alla base dei suoi esordi, quanto che comunque i frutti di questo percorso
di 45 anni di carriera si sentono eccome, anche se lo spirito di queste canzoni
e i musicisti sono praticamente gli stessi. Costello scherza sul fatto,
ribadendo che in fondo una buona idea del 1978, resta tale anche nel 2022 se lo
è veramente, ma è ovvio che qui dentro non possiamo più trovare l’urgenza
giovanile di brani come Pump it Up o No Action, ma la ragionata esperienza di
un uomo che continua a usare l’ironia come lente d’ingrandimento per descrivere
la realtà che lo circonda, confermandosi, se mai ce n’era bisogno, come uno dei
più intelligenti autori di testi della vecchia guardia.
Per cui se il tono
inevitabilmente nostalgico e passatista del disco resta il più evidente Tallone
d’Achille, che magari farà storcere il naso a chi aveva apprezzato
l’ecletticità e apertura a nuovi mondi dei suoi ultimi due dischi (Look Now e Hey
Clockface, ma aggiungerei anche l’esperienza con i Roots), dall’altro il
Costello di The Boy Named If dimostra di essere artista tutt’altro pronto al pensionamento
da routine, perché non è certo possibile raccontare le storie (camuffate da
fiabe per bambini in questo caso) in bilico tra cronaca e letteratura di Paint
the Red Rose Blue, The Difference, What If I Can’t Give You Anything But Love?,
The Man You Love to Hate vivendo in un ritiro dorato. Costello invece
continua a vivere tra dischi e concerti come se stesse ancora ricercando il suo
punto di arrivo, e questi risciacqui del suo songwriting nel suo rock originario
non sono certo nuovi (in fondo Brutal Youth o Momofuku erano operazioni
simili), ma ogni volta ci si trova nuovi elementi nati dalle sue tante ispirazioni,
e qui ad esempio non sfuggono le tracce rimaste dalle sue frequentazioni in ambito
Roots/Americana del periodo di National Ransom.
Difficile dire quanto possa poi
essere un disco importante nell’ambito della sua ormai cospicua discografia
(arriva forse troppo tardi per esserlo veramente), ma è certo che The Boy
Named If vince la grande sfida di non far sembrare vecchia e polverosa
la sua “solita solfa”, e per uno che produce dischi da 45 anni, praticamente
senza pause, davvero è un traguardo più che raro.
Nicola Gervasini
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