lunedì 13 gennaio 2025

Amy Speace

 

Amy Speace
The American Dream
[Goldrush 2024]

 Sulla rete: amyspeace.com

 File Under: just a story from America


di Nicola Gervasini (04/11/2024)

Seguo Amy Speace con affetto e interesse dai tempi del suo terzo album The Killer in Me del 2009, e ho sempre pensato che proporla nelle nostre terre fosse una impresa alquanto titanica vista la poca familiarità che il pubblico italiano ha con il suo tipo di linguaggio. Anche nel suo campo, quello delle songwriters post-Lucinda Williams di questi anni 2000, è sempre stata un po’ ai margini, forse perché non ha il fascino del dark-country di una Mary Gauthier o la vena più melodica e immediata di una Kathleen Edwards, e anche la sua voce è bella, ma non ha particolarità che la rendano immediatamente riconoscibile. A sfavore di una popolarità rimasta infatti limitata agli Stati Uniti, gioca anche il fatto che la sua formazione di attrice shakespeariana la porta spesso a scrivere canzoni molto verbose e piene di riferimenti storici o letterari, il che rendeva album come How To Sleep In A Stormy Boat (2013) o Me And The Ghost Of Charlemagne (2019) affascinanti quanto anche un po’ troppo densi e monocorde.

La Speace è però un personaggio molto amato dall’ambiente statunitense, anche perché attiva dall’altra parte della barricata come articolista e critica musicale per testate a noi ben note come No Depression Magazine e American Songwriter Magazine, fino anche al New York Times. Per conoscerla, contrariamente alla regola di partire dall’inizio, vi potrei quindi consigliare di ascoltare The American Dream, suo ormai tredicesimo album dal 2002 ad oggi, perché se di una maturità ormai non ne aveva più bisogno, è forse il disco che meglio riesce a calibrare la sua penna avida di raccontare, e una produzione che resta sì sempre fatta in economia scegliendo la via del sound elettro-acustico guitar-oriented, ma puntuale e in grado di dare la giusta dinamicità all’album.

Finanziato con un ormai abituale crowdfunding e prodotto dall’esperto Neilson Hubbard, il disco raccoglie i collaboratori di lunga data come il chitarrista Doug Lancio e il mandolinista Joshua Britt, ed è una sorta di concept che racconta la storia americana attraverso i suoi ricordi di vita, con una title-track iniziale che racconta di lei a 7 anni nel 1975, spensierata ma già desiderosa di capire il mondo, mentre ascolta i commenti politici del padre. E così via con ricordi di compagni di scuola (Homecoming Queen, una sorta di Bobby Jean al femminile), matrimoni dolorosamente falliti (Where Did You Go), e prese di coscienza di quanto il voler stare fieramente fuori dal coro si paghi in solitudine (Glad I’m Gone).

E ancora i sogni da attrice e la vita a New York (In New York City) e la scoperta del folk (This February Day), fino al ritorno in provincia con Something Bout A Town per ritrovare sé stessa e concentrarsi sulla sua musica. Una storia tipicamente americana insomma, con la grande città che uccide il sogno americano dopo averlo promesso, e una provincia che lo mette definitivamente a dormire ripagando però in salute mentale. Non è la prima che ce la racconta questa novella, ma Amy Speace ha doti da storyteller davvero particolari e adatte al genere che vi invito a scoprire.

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