De Francesco – Cupio Invenire
Paolo Rig8 – Compost
Snowdonia - 2024
Sempre attiva nel coprire talenti, la Snowdonia ha presentato in
questo finale del 2024 due artisti molto interessanti. Il primo è il bresciano De
Francesco, già noto con il nickname MARIX, con cui ha inciso nel decennio
scorso tre album improntati ad uno stile da cantautore indie. Ora usa il suo
vero cognome (lui si chiama Mario) per un progetto molto interessante, composto
da 10 canzoni ispirate da altrettanti romanzi più o meno celebri, un omaggio
alle letture che lo hanno forgiato in tutti questi anni. Troviamo così titoli importanti
come Delitto e castigo di Fedor Dostoevskij ad ispirare l’amarissimo brano
Rodja, Fight Club di Chuck Palahniuk dare vita ad una cinica canzone dallo
stesso titolo (l’incipit poi direi che dice molto anche sullo spirito
ironicamente pessimista dei suoi testi: “nell’ottica comune io dovrei
sentirmi appagato perché il design svedese del mio appartamento è cool, nel mio
armadio pax ho sei camicie tutte uguali”), o anche Dissipatio H.G. di Guido
Morselli (altra fase indicativa anche nel brano omonimo: “ma non c’è più
nessuno in questo giardino che dia un senso al tempo, su questa panchina mi
resta l’attesa e in tasca le tue Gauloise”). Ma anche titoli meno celebri
come Creatività di Philippe Petit (che ispira Sul Filo), o narrativa italiana
più recente come Nella vasca del Führer di Serena Dandini o La signorina
Crovato di Luciana Boccardi, e, forse anche un po’ provocatoriamente, anche un
brano finale (Galline) ispirato da un “Uomo Qualunque di Facebook” promosso a
letteratura moderna. Cupio Invenire (titolo traducibile come “Desidero
scoprire”) è un bel disco cantautoriale, curato anche dal punto di vista degli
arrangiamenti e del suono, con archi e fiati a contorno, come ad esempio il sax
di Dario Acerboni in Acqua ai fiori (il cui riferimento letterario è Cambiare
l’acqua ai fiori di Valérie Perrin).
Ancora più dissacrante fin dalla copertina è Compost, settimo
album di Paolo Rig8, disco che ha avuto un lungo iter produttivo per
definire in dieci brani il punto della situazione di un neocinquantenne alle prese
con un decadimento sia fisico, che motivazionale e morale. Il junk food della
copertina (realizzata palesemente con l’intelligenza artificiale per aumentare
il senso di grottesco della nostra modernità) rappresenta solo una delle tante
tossine (descritte con precisione in Respiro e nella title-track) che l’esistenza
ci propina per appesantirci nella seconda fase della nostra vita. Il tema è
innanzitutto quello dell’artista indipendente che decide dii smettere di venire
a compromessi, e se in Solo Se Mi Va decide di non partecipare alla questua di
recensioni in cambio di una finta visibilità (“La medicina per l'autostima,
in mezzo a tanti nomi, è comprarsi le recensioni che non legge nessuno, però i
pareri son buoni, preferisco cantare per te che suonare per tre” canta), in
Questa è l’Ultima ironizza sui concerti fatti in situazioni del tutto inadatte pur
di poter avere una data da qualche parte (“Questa è l'ultima, lo sai, dopo
mettono il D.J”). La reazione a tutto ciò può essere violenta (Spacca Tutto,
che sembra un testo del Finardi della prima ora), o rassegnata, come quella dei
pendolari raccontata in Binari. Il finale è ancora più amaro, con una Ancora in
Tempo che descrive bene quella sensazione del cinquantenne odierno di essere
troppo vecchio per poter ancora cambiare le cose, e troppo giovane per mollare
davvero tutto (Too Old to Rock and Roll, Too Young to Die cantavano i Jethro
Tull sullo stesso argomento), e una Ho Fatto un Dio che si porta avanti nel
rispondersi se poi la religione possa aiutare o no in questi casi. Toni dark e atmosfere
da new wave italiana anni ‘80 sono il bagaglio musicale di un disco completamente
autoprodotto e suonato in veste di polistrumentista.
NICOLA GERVASINI
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