The
Bravo Maestros - Keep It Simple, Stupid!
Vina Records - 2025
Se lavorate nel mondo
dell’informatica, l’espressione Keep It Simple, Stupid! che dà il nome
al primo album dei Bravo Maestros vi sarà familiare, magari con l’acronimo
KISS, ed è una sorta di regola base dello sviluppo software che invita a considerare
l’intuitività e la “user friendliness” (come si dice in gergo) dell’interfaccia
sviluppata. Come dire, non basta che funzioni, deve anche essere facile da
capire e usare. Trasportata in ambito rock non sorprende dunque che la proposta
di questi ragazzi si traduca in un rock semplice e diretto, “Rock e cassa
dritta a 160 bpm” per dirla con la loro stessa definizione, tipica di un trio
chitarra-basso-batteria formato da Matteo Buranello, Davide Diomede e Luca
Buranello.
Keep It Simple, Stupid! è una
raccolta dii 11 brani che paiono registrati nel 1979, che sanno di Jam e Pop
Group nel DNA, ma che non disdegnano di guardare anche al punk anni Novanta dei
Green Day se vogliamo, tutto suonato con una attitudine “live” e “garage” che
vi sarà facile immaginare. Vi basterà anche solo ascoltare il singolo Jungle
Jingle che apre il disco per riservare al disco un passaggio in macchina a
tutto volume, perché qui c’è energia, chitarre, e tanto power-pop d’annata,
anche finemente scritto, come nel caso di The Love Conspiracy. La voce di
Matteo Brunello è adatta al genere, giustamente un po’ stridula ma in grado di
cesellare bene le melodie, perché poi alla fine brani anche polemici come Out
of the Game o la letteraria When the Black Night Falls (con tanto di citazione
di versi in spagnolo di Federico Garcia Lorca) sono innanzitutto dei pezzi che
cercano la cantabilità e l’immediatezza.
I testi, come nel pezzo più rock
and roll del disco (Pest), sono disincantati e aspri come richiede comunque il
genere, anche se c’è spazio per parlare di amori (Lost) e addirittura di citare
i classici del rock con una Lucy Sin Diamantes che, su un giro alla London
Calling dei Clash, omaggia i Beatles di Lucy in the Sky With Diamonds. Particolarmente
interessante il finale di Los Amigos, più o meno quello che potrebbero suonare
gli Oasis se fossero stati una band di bassifondi di Londra nel 1966, tra echi
di Kinks e primi Pretty Things. 40 minuti scarsi senza sosta, senza magari
troppe variazioni sul tema, ma con una ottima padronanza di tutto l’armamentario
di quei riff classici che hanno alimentato anche la scena degli anni ‘80 con
band come Chesterfield Kings o Fleshtones. Sono forse in ritardo d 40 anni, ma
che escano ancora dischi con questo sapore di puro rock da cantina consola non
poco.
Voto: 7
Nicola Gervasini
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