giovedì 14 ottobre 2010

US RAILS


Nel glossario rock il supergruppo è quella formazione - spesso estemporanea - composta da artisti con carriere personali già ben avviate. Il glossario però non specifica quanto famosi poi devono essere questi artisti per poter parlare di vero SUPERgruppo (alla Blind Faith o alla Traveling Wilburys per intenderci), oppure solo di una semplice bevuta tra amici del settore senza troppe pretese. La Blue Rose ultimamente si sta beando dei suoi supergruppi, e dopo gli Slummers di Dan Stuart e del nostro Antonio Gramentieri, s'inventa gli US Rails, vera accolita di "sfigati" del mondo della canzone roots (nel senso buono ovviamente…), tutti talmente poco di moda da rendersi necessaria una piccola rinfrescata sulle loro gesta. Quello a noi più caro è probabilmente Ben Arnold, uno che nel 1996 la Columbia lanciò con grandi speranze con un disco (Almost Speachless, lo recuperate per pochi euro senza problemi se non lo conoscete) che rappresentava un punto d'incontro tra il grunge e la musica d'autore americana (siamo dalle parti di Pete Droge insomma), salvo poi abbandonarlo ad un destino di pochi e dimenticati album indipendenti.

Sorte simile quella di Scott Bricklin, un album per major nel 1986 con la band di famiglia (i Bricklin, dimenticati ma bramati dai collezionisti) e poi un'infinita gavetta da session.man. Loser di più recente nascita invece è Joseph Parsons, passato quest'anno anche sulle nostre pagine con il bel live Slaughterhouse Live, così come altra nostra vecchia conoscenza è il chitarrista Tom Gillam (con dischi a suo nome e per le produzioni per Marah e Frog Holler). Manca da dire del batterista Matt Muir (viene dalla Scott Silipigni Band) e soprattutto resta poco spazio per esaminare a fondo un disco lungo 62 minuti e con ben 14 canzoni che raccontano praticamente tutto quello che c'è da dire sul rock americano di matrice texana.

Registrato tra Austin e un cottage di Parigi, il disco vede tutti i presenti coinvolti alla scrittura, ognuno con le proprie peculiarità (Tom Gillam ad esempio sposta sempre il baricentro verso suoni elettrici, o veleggia sul southern rock con Shine Your Light) ma sempre tenendo conto di voler essere una band. Il modello è quello di Crosby, Stills, Nash & Young, e non solo perché l'album si conclude con una coraggiosa versione da bar-band di Suite: Judy Blue Eyes che fa onore a tutti anche solo per il fatto di esserne usciti vivi, ma perché comunque i cinque amano molto il lavoro corale. E così anche quando Arnold rispolvera il suo rock urbano (New Gold Rush, Rainwater), lo fa senza mai uscire dal seminato, e così si allineano anche gli altri, sia Parsons quando si cala nei panni del cantautore West Coast (Burning Fire) o Bricklin quando cerca la via del blues in Rockin Chair. Non manca nulla insomma, anche se il risultato finale ricorda quasi una versione meno pompata degli Arc Angels (erano un supergruppo anche loro no?). Se i veri supergruppi scrivevano la storia, qui si è solo scritta una piacevole paginetta di american music.
(Nicola Gervasini)

Rootshighway 15/9/2010

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