BENJAMIN GIBBARD
FORMER LIVES
Barsuk records
***1/2
Non è tanto per questioni
di apertura mentale ai diversi generi che popolano l’universo rock, ma quanto
che davvero per gli appassionati di musica americana non è mai stato
facilissimo avvicinarsi al mondo di Benjamin
Gibbard (che per l’occasione si presenta con il nome per intero) e dei suoi
Death Cab for Cutie. Per molti poi la sua presenza nella propria discografia
non è iniziata nel lontano 1997 con l’esordio della band, ma nel 2009 con il
progetto One Fast Move Or I’m Gone,
scritto a due mani con Jay Farrar dei Son Volt, una colonna sonora di un
documentario su Jack Kerouac sfuggita di mano tanto da diventare un bellissimo
album folk. L’album Codes and Keys dei Death Cab for Cutie, disco tutto tastiere e
poche chitarre uscito nel 2011, aveva contribuito ad allontanare molti di
quelli che ne avevano apprezzato la vena classica. Former Lives, primo album
a suo nome della sua lunga carriera (aveva già comunque fatto produzioni in
proprio con lo strano nickname di ¡All-Time Quarterback! una decina di anni fa)
sembra quindi fatto apposta per loro, un disco che pura americana sporcata di
pop che rinuncia completamente alle intenzioni alternative e sperimentali della
band per rifugiarsi in semplice folk-songs e numeri di sopraffino classic-pop.
Quasi che, visto anche l’effettivo scarso successo di Codes and Keys, Benjamin abbia deciso di dare un colpo al cerchio e
uno alla botte creandosi due distinte carriere per due distinte utenze. In
questo senso la leggerezza dell’iniziale Dream
Song pare quasi una dichiarazione d’intenti, così come il bel jingle-jangle
rock di Teardop Windows (pare un
vecchio pezzo dei Long Ryders) o lo scherzetto pop di Bigger Than Love. E’ in brani come la dolce Lily o Lady Adelaide che
la sua formazione folk viene allo scoperto, quella che poi gli permette di
giocare con stili come il tex-mex di Something's
Rattling (Cowpoke), il wall of sound beatlesiano di Duncan, Where Have You Gone? (invierà le royalties a George
Harrison?) o il brit-pop alla Pulp di Oh,
Woe. Gibbard ha inoltre approfittato di essere l’unico padrone di casa per
sviluppare testi più intimisti del solito, dove la difficile relazione con
l’attrice Zooey Deschanel, i suoi ricordi di tifoso di baseball e tante altre storie
legate alla sua vita scorrono come un piccolo film. Quello che latita forse è
un pizzico di personalità in più, se è vero che ad esempio Broken Yolk in Western Sky è sì un ottimo brano roots-rock, ma se
ci avessero detto che si tratta del nuovo singolo di Ryan Adams non avremmo
dubitato della veridicità dell’informazione. Per il resto un piccolo gioiellino
di easy-roots che molti di voi potranno apprezzare.
Nicola Gervasini
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