Da qualche anno però Finlin ha preso in mano la sua arte e pubblica con regolarità dischi ben prodotti, ben scritti e sempre ben suonati, cantati con quella sua voce acida e roca a metà tra Dylan e Dan Zanes. Non fa eccezione My Moby Dick, disco autofinanziato grazie al crowdfunding e prodotto con John McMahan (tra gli artisti da lui serviti ricordiamo Kevin Gordon, Patrick Sweany e Markus Rill). Rispetto ai suoi buoni predecessori (da riscoprire l'accoppiataAngels In Disguise del 2007 e Ballad Of A Plain Man dell'anno successivo) si nota magari un tono meno rauco e qualche chitarra urbana in meno, con più enfasi su registri riflessivi, tanto che dopo una interlocutoria Walking In The Air, l'highlight del disco arriva con I Killed Myself Last Night, brano con un arrangiamento di tastiere che può ricordare anche il John Grant più etereo. Con la tesa Big Sun Going Down si torna comunque nel folk-rock da strada, grazie anche ad un bell'intervento dell' acida sei corde di McMahan, ma Language of Love riporta subito tutto ad atmosfere rarefatte alla Chris Eckman decisamente insolite per Finlin, così come la complessa It Did't Rain That Year. Non sembra avere fretta stavolta Finlin, si culla sul giro acustico di Going Nowhere scoprendo un lato malinconico fino ad oggi rimasto sempre tra le righe. Anche quando potrebbe urlare, come nella ironica Woke Up Insde a Revolution, pare frenato, attento a non esagerare. Alla fine forse il tono dimesso sembra far mancare qualcosa al disco, quando anche l'heartland-rock di Red Dirt Land forse avrebbe necessitato può foga. Non cambiano registro Ohio e Come As You Are (niente a che vedere con Neil Young e Nirvana), la seconda notevole ballata condotta con il co-pilot Kevin Gordon alla voce. Chiude bene Gloriuos Day un album in cui la letteratura evocata anche dal titolo prende il sopravvento sul bisogno di ritmo. Una pausa di riflessione importante, anche se non completamente riuscita. |
martedì 22 aprile 2014
JEFF FINLIN
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