LANGHORNE SLIM
THE SPIRIT MOVES
Dualtone
***1/2
Strano destino quello di Sean
Scolnick, alias Langhorne Slim:
salutato agli esordi come una vera nuova promessa della canzone folk, grazie ad
un album (When the Sun's Gone Down
del 2005) che resta un piccolo classico della musica indie degli anni zero, dieci
anni dopo sembra essere un po’ dimenticato dai più. Colpa di due album (Langhorne Slim del 2008 e Be Set Free del 2009) che hanno fallito
nel consolidarne la fama, e anzi, per molti erano suonati un po’ come una
delusione (ma sarebbe il caso di riascoltarli bene), e forse colpa anche del
suo essere personaggio schivo e non certo attento a seguire l’onda del nuovo
folk. Lui però non si è perso d’animo, e già con The Way We Move del 2012 aveva dimostrato che la sua coerenza stilistica
non era necessariamente da scambiarsi per mancanza d’idee. L’ironia della sorte
è quindi quella di star maturando come autore e artista proprio quando le luci
della ribalta non lo illuminano più, e sono rimasti in pochi ad aspettare il
suo nuovo disco come quello che salverà una stagione discografica. Non che The
Spirit Moves sia l’album che risveglierà il 2015 del mondo indie-folk da
un certo torpore, ma, tra i sopravvissuti al decennio scorso, pochi possono
ancora oggi vantare di scrivere ballate come l’acustica Changes o maneggiare a dovere un duello con un’intera sezione
d’archi come quello di Whsiperin’,
brano degno del giovane Bill Fay. Sebbene non ci siano fuochi d’artificio, non
c’è nulla in questi dodici brani (per 37 minuti) che sia fuori tema. Eppure di
certo Langhorne Slim non ama andare sul sicuro, azzarda anche pop-song tutto
fiati e coretti come Strangers e ne
esce comunque a testa alta, soul-ballad improbabili solo in apparenza come Life’s A Bell, sgangherati blues (Bring You My Love) che esaltano il
wurlitzer di David Moore (tastierista, ma curiosamente anche autore del disegno
di copertina) e una sezione di voci e fiati in puro stile New Orleans. Ma è
proprio quando fa le cose più semplici, come nell’ottima Airplane o nel finale di Meet
Again, brani sospesi un po’ tra Dylan e Will Oldham, che Slim dimostra di
saperci davvero fare come folksinger. The
Spirit Moves in un certo senso conferma i suoi pregi (ottenere molto con
poco) e difetti (gli manca comunque sempre la zampata vincente), grazie ad una
produzione attenta (a cura dell’amico e anche co-autore Kenny Siegal) e a brani brevi e diretti come Southern Bells. Bisognerebbe forse ricordarsi di lui più spesso
quando si saluta con facilità l’ennesimo nuovo folksinger indipendente, potremmo
scoprire che in fondo già avevamo trovato quello che ancora cerchiamo.
Nicola
Gervasini
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