mercoledì 30 dicembre 2015

SACRI CUORI


 Sacri Cuori 
Delone
[
Glitterbeat 
2015]
www.sacricuori.com
 File Under: danza globale

di Nicola Gervasini (18/05/2015)
A conti fatti, hanno davvero fatto bene i Sacri Cuori a non scegliersi un nome anglofono: è vero, la loro proposta guarda oltrefrontiera, e sicuramente nascono anche loro dal sottobosco di band "american-like" che popola (tra mille sogni infranti e difficoltà di ribalte adatte) le province della penisola. Ma la band capitanata da Antonio Gramentieri sta portando avanti un discorso ambizioso e, in qualche modo, nuovo: non più musicisti italiani che "fanno gli americani", e neppure italiani che cercano di nobilitare il nostro mondo tradizionale (i tanti progetti in dialetto sentiti dopo che Creuza de Ma sdoganò l'idea dell'esistenza di una "musica etnica italiana"), ma l'idea che gli elementi di musica italiana (liscio, melodica o rock che sia) possano tranquillamente partecipare ad un melting pot globale senza perdere nulla della propria identità.

Già con Rosario i Sacri Cuori avevano accarezzato il concetto, ma Delone comincia davvero a portare i primi importanti risultati. Perché è un disco vario, di vedute aperte, forse fin troppo eclettico, ma i Sacri Cuori sono prima di tutto dei provocatori, nel senso buono del termine. L'ascolto di un loro disco infatti non finisce col tasto stop al termine dell'ultimo brano, anzi, si potrebbe dire che è lì che inizia, perché le mille idee disordinatamente sparse e spesso volutamente abbozzate che popolano questi brani sono lì per tutti, per il musicista che alla fine di Delone troverà ispirazione per una nuova canzone, e per noi che ascoltiamo e che scopriamo quanto anche la nostra infinita collezione di dischi di roots-music e classic-rock possa essere espressione di una visione musicale parziale. I paragoni con i Calexico sono finiti dunque, quelli vanno nella direzione di trovare non più il suono, ma la canzone perfetta (si ascolti il recente Edge Of The Sun), i Sacri Cuori continuano invece a cercare la base strumentale per il disco del futuro.

Che non definiremo "roots" (radici) semplicemente perché qui siamo già oltre, alle prese con un genere che definirei "bud" (germoglio), in attesa che diventi un fiore vero e proprio (categoria "bloom"). L'elenco dei nobili collaboratori (Evan Lurie,Marc Ribot, Steve Shelley dei Sonic Youth, Howe Gelb) serve solo a sottolineare la visione globale della loro musica, così come l'utilizzo della suadente voce di Carla Lippis, italo/australiana che regala con La Danza (presente anche in differente versione in inglese) e una title-track in puro stile alla Lee Hazlewood/Nancy Sinatra i brani forti del disco. In mezzo a tante lingue (italiano, inglese, e pure francese in Seuls Ensemble) troverete i loro tipici strumentali che guardano alla commedia italiana (La MarabinaDirsi Addio a Roma), al noir (El Comisario), al tex-mex (Bendingo), o a nuove forme di blues (Portami ViaCagliostro Blues). Si ascolta (Billy Strange), e si balla (Madalena) la musica dei Sacri Cuori, ma soprattutto si pensa a dove potrà arrivare incontrando per strada nuovi compagni di un viaggio importante proprio perché privo di una meta fissa predefinita.


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