mercoledì 9 novembre 2016

CHARLES BRADLEY

Charles Bradley
Changes

(2016, Daptone Records)
File Under: Old Soul never dies

Ammetto di avere poca fiducia negli sviluppi presenti e futuri del cosiddetto New Soul degli anni 2000, e forse ancora meno ne avevo nelle possibilità del vecchio Charles Bradley di poter dire ancora qualcosa di significativo in materia. Di lui vi abbiamo già parlato in occasione dei due capitoli precedenti (No Time For Dreaming del 2011 e Victim Of Love del 2013), a 68 anni quasi suonati Bradley è un novellino arrivato con questo Changes al terzo capitolo di una carriera iniziata discograficamente a 63 anni, quando il terreno era già da tempo fertile per un emulo di James Brown come lui. Protetto dalla grande ala della Daptone Records, Bradley continua a non avere uno stile proprio e facilmente riconoscibile, eppure in qualche modo in Changes riesce ancor meglio che nei due simpaticamente scolastici album precedenti a stilare una sorta di piccola storia del classic-soul classico in undici canzoni. Si guarda pesantemente alla Stax e ai suoi artisti stavolta, partendo sempre da James Brown (Good To Be Back Home fa incetta di urletti e “Good God!” alla Father of Soul), ma passando presto a suoni da Staples Singers (Nobody But You) o Swamp Dogg (Ain’t Gonna Give It Up), e soprattutto con una title-track che annerisce addirittura la Changes che fu dei Black Sabbath epoca Vol.4. Non è la prima volta che gli artisti della nuova ondata Soul tentano ardite trasposizioni e costruiscono ponti tra genere apparentemente inconciliabili (penso ad esempio a JC Brooks & the Uptown Sound e alla sua riuscita cover di un brano dei Wilco nel 2010, ma l’elenco potrebbe essere lungo), ma Bradley in qualche modo riesce a tenere viva e a non stravolgere troppo l’interpretazione che fu di Ozzy Osbourne, aggiornandola tra maestosi fiati soul e rendendola un nuovo  sofferto canto di amore. Giochi di stile comunque, come tutti quelli che Bradley ci fa ascoltare fino alla fine, sia che si tratti di sentite storie sentimentali (Crazy For Your Love) o maestose invettive socio-politiche (Change For The World). Giochi che continuo a trovare ormai utili solo a tener viva una tradizione che vuole essere vecchia per definizione e mantenere la Black Music ancorata a quella genuina espressione di sentimenti, ritmo e melodia che fu il Soul fino all’avvento del rap e dell’R&B moderno. Impossibile dunque non apprezzare Changes, sicuramente uno dei migliori prodotti New Soul di questi anni dieci, se poi abbia senso perdere tempo con Charles Bradley piuttosto che ripassarsi la discografia di Sly Stone è una questione che vi lascio risolvere da soli.

Nicola Gervasini

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