Mega Bog Dolphine [Paradise of Bachelors/ Goodfellas 2019] megabog.com File Under: art-pop di Nicola Gervasini (13/09/2019) |
Ci occupiamo per la prima volta su queste pagine di Erin Elisabeth Birgy, in arte Mega Bog, autrice americana attiva da una decina d’anni. L’occasione arriva con l’uscita di Dolphine, suo quinto album, e primo per la sempre più coraggiosa etichetta Paradise of Bachelors, rifugio sicuro per eroi del songwriting vecchi (Bonnie Prince Billy, Michael Chapman) e nuovi (anche Steve Gunn ha pubblicato un paio di dischi per loro). Ultima paladina di una nuova forma di pop femminile che fa di eleganza e formalismo sonoro una bandiera, il disco la vede allinearsi a fianco di artiste come Weyes Blood o la Joan As Police Woman più recente nel recuperare orchestrazioni e ritmi da pop-song elegante degli anni 60.
Si pensa subito a Burt Bacharach (sentite la parte ritmica di Diary of A Rose o la samba iniziale di For The Old World e cercherete Dionne Warwick nei credits) o al Lee Hazlewood al servizio di Nancy Sinatra, ispiratori evidenti di una serie di caratteristiche che vanno dalla voce suadente e malinconica, con quel tocco annoiato di impostazione quasi nordeuropea (I Hear You Listening si colloca tra Sophie Zelmani e Emiliana Torrini), fino a tocchi più moderni, come le basi elettroniche della title-track che hanno portato molti a paragonarla addirittura a Laurie Anderson. Nascono così bozzetti di art-pop che mischiano un po’ di tutto, se è vero che le sonorità di Spit In The Eye Of The Fire King ricordano le collaborazioni tra Joni Mitchell e gli eroi fusion Pat Metheny e Lyle Mays, mentre Left Door va a cercare la lezione di songwriting di Laura Nyro.
Il pericolo di realizzare un pastiche di mille idee già avute da altri è sempre forte, e certo Suzanne Vega ai tempi della sua frequentazione con Mitchell Froom ci aveva già raccontato della possibilità di unire folk e bossa nova, qui espressa in Truth In The Wild, ma va detto che Mega Bog ha saputo mischiare gli ingredienti con innegabile originalità, rimanendo sospesa tra il vintage e il moderno con ottimo equilibrio. Nel finale poi si ricorda anche di essere una buona autrice nella eterea Shadows Break, si culla sul violoncello di Untitled (With “C”), cerca un po’ di performance vocali d’avanguardia nei vocalizzi di Fwee Again, per chiudere da semplice folksinger voce-chitarra in Waiting In The Story. Tutto in linea con la nuova tendenza un po’ leziosa ed estetizzante della canzone femminile, ma con molte idee brillanti che in Dolphine trovano un buon sviluppo grazie al supporto di membri dei Big Thief (il batterista James Krivchenia) e di Meg Duffy, tuttofare visto spesso al servizio di Kevin Morby e noto anche con il nickname di Hand Habits.
Il risultato lascia anche intendere che potremo attenderci un passo ancora in avanti in termini di espressione di una personalità unica e riconoscibile, ma intanto scopritela con questo disco, che è giusto non passi troppo inosservato.
Si pensa subito a Burt Bacharach (sentite la parte ritmica di Diary of A Rose o la samba iniziale di For The Old World e cercherete Dionne Warwick nei credits) o al Lee Hazlewood al servizio di Nancy Sinatra, ispiratori evidenti di una serie di caratteristiche che vanno dalla voce suadente e malinconica, con quel tocco annoiato di impostazione quasi nordeuropea (I Hear You Listening si colloca tra Sophie Zelmani e Emiliana Torrini), fino a tocchi più moderni, come le basi elettroniche della title-track che hanno portato molti a paragonarla addirittura a Laurie Anderson. Nascono così bozzetti di art-pop che mischiano un po’ di tutto, se è vero che le sonorità di Spit In The Eye Of The Fire King ricordano le collaborazioni tra Joni Mitchell e gli eroi fusion Pat Metheny e Lyle Mays, mentre Left Door va a cercare la lezione di songwriting di Laura Nyro.
Il pericolo di realizzare un pastiche di mille idee già avute da altri è sempre forte, e certo Suzanne Vega ai tempi della sua frequentazione con Mitchell Froom ci aveva già raccontato della possibilità di unire folk e bossa nova, qui espressa in Truth In The Wild, ma va detto che Mega Bog ha saputo mischiare gli ingredienti con innegabile originalità, rimanendo sospesa tra il vintage e il moderno con ottimo equilibrio. Nel finale poi si ricorda anche di essere una buona autrice nella eterea Shadows Break, si culla sul violoncello di Untitled (With “C”), cerca un po’ di performance vocali d’avanguardia nei vocalizzi di Fwee Again, per chiudere da semplice folksinger voce-chitarra in Waiting In The Story. Tutto in linea con la nuova tendenza un po’ leziosa ed estetizzante della canzone femminile, ma con molte idee brillanti che in Dolphine trovano un buon sviluppo grazie al supporto di membri dei Big Thief (il batterista James Krivchenia) e di Meg Duffy, tuttofare visto spesso al servizio di Kevin Morby e noto anche con il nickname di Hand Habits.
Il risultato lascia anche intendere che potremo attenderci un passo ancora in avanti in termini di espressione di una personalità unica e riconoscibile, ma intanto scopritela con questo disco, che è giusto non passi troppo inosservato.
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