Drew Holcomb & The Neighbors Dragons [Magnolia Music/ Goodfellas 2019] drewholcomb.com File Under: Romantic blue collar di Nicola Gervasini (02/09/2019) |
Mi piacerebbe fare una sorta di rassegna stampa per capire quante altre testate musicali italiane si sono occupate in questi anni dei Drew Holcomb & The Neighbors. Anche solo una veloce ricerca nel web mi sta dando pochissime recensioni online dedicate al personaggio. Dico questo non per vantare una chissà quale esclusiva di Rootshighway nel trattare un artista inesorabilmente arrivato tardi nella ”storia del rock”, così come ce la siamo raccontata per anni, ma proprio per fare un punto sul fatto che quella scena che troviamo sotto la voce “Blue Collar Music” (anche questa definizione è ormai vetusta e sorpassata) ha perso anche quel poco di attrattiva che si era guadagnata ai tempi in cui al club Bruce Springsteen si iscrivevano anche musicofili occasionali.
Eppure, Holcomb non si scosta di un centimetro dalla filosofia di una vita vista come lotta quotidiana combattuta a colpi di rock fatto di sudore e allegria, e francamente risulta oggi, giunto all’ottavo album (più tre live e due album natalizi da aggiungere al conto), come il più credibile "avanzo di fabbrica" rock americana. Il che già lo rende un eroe a suo modo, perché se è vero che persino certi vecchi grandi della scena oggi scivolano spesso nel puro “Amarcord” (che si trasforma in un triste e solitario tramonto), lui tiene alte le luce della festa. Dragons però non riparte laddove erano finiti i precedenti capitoli come Good Light, Medicine o Souvenir, perché stavolta Holcomb prova a dare una svolta più moderna, evidente non tanto nell’anthem iniziale di Family, quanto nel quasi indie di End Of The World scritto con Sean McConell, o nella marcetta folk But I’ll Never Forget the Way You Make Me Feel cantata con la moglie Ellie.
Dragons invece ricerca un cantautorato roots più tradizionale, ma prosegue nella linea più intimista e poco festaiola del disco. Ed è così per i 34 minuti del disco, tutti incentrati ad offrirci un lato più autoriale di Holcomb, che se la cava egregiamente - va detto - in questa veste quasi folk-pop (sentire la leggerezza armonica di See The World), ma che resta in ogni caso un abito in cui si differenzia meno dalla massa di giovani cantautori odierni. Prodotto da Cason Cooley, fautore di un sound che mette le percussioni in primo piano come si usa fare in molto dell’indie-folk odierno, Dragons è una piccola raccolta di soffici ballate di pregevole fattura ma alle quali manca forse quel pizzico di personalità in più per poter essere davvero buone per tutti.
Poco male, ogni leader della festa ha bisogno di tirare il fiato o mostrare il lato romantico in un duetto con Lori McKenna come You Want What You Can't Have (i due bissano nella più briosa Make It Look So Easy) o in un altro con Natalie Hemby (Maybe), in un tripudio di romanticume (la finale Bittersweet potrebbe essere un brano dei Coldplay per dire) da rocker di strada anche questo decisamente agèe, ma che qualche parte del cuore riesce comunque a toccare.
Eppure, Holcomb non si scosta di un centimetro dalla filosofia di una vita vista come lotta quotidiana combattuta a colpi di rock fatto di sudore e allegria, e francamente risulta oggi, giunto all’ottavo album (più tre live e due album natalizi da aggiungere al conto), come il più credibile "avanzo di fabbrica" rock americana. Il che già lo rende un eroe a suo modo, perché se è vero che persino certi vecchi grandi della scena oggi scivolano spesso nel puro “Amarcord” (che si trasforma in un triste e solitario tramonto), lui tiene alte le luce della festa. Dragons però non riparte laddove erano finiti i precedenti capitoli come Good Light, Medicine o Souvenir, perché stavolta Holcomb prova a dare una svolta più moderna, evidente non tanto nell’anthem iniziale di Family, quanto nel quasi indie di End Of The World scritto con Sean McConell, o nella marcetta folk But I’ll Never Forget the Way You Make Me Feel cantata con la moglie Ellie.
Dragons invece ricerca un cantautorato roots più tradizionale, ma prosegue nella linea più intimista e poco festaiola del disco. Ed è così per i 34 minuti del disco, tutti incentrati ad offrirci un lato più autoriale di Holcomb, che se la cava egregiamente - va detto - in questa veste quasi folk-pop (sentire la leggerezza armonica di See The World), ma che resta in ogni caso un abito in cui si differenzia meno dalla massa di giovani cantautori odierni. Prodotto da Cason Cooley, fautore di un sound che mette le percussioni in primo piano come si usa fare in molto dell’indie-folk odierno, Dragons è una piccola raccolta di soffici ballate di pregevole fattura ma alle quali manca forse quel pizzico di personalità in più per poter essere davvero buone per tutti.
Poco male, ogni leader della festa ha bisogno di tirare il fiato o mostrare il lato romantico in un duetto con Lori McKenna come You Want What You Can't Have (i due bissano nella più briosa Make It Look So Easy) o in un altro con Natalie Hemby (Maybe), in un tripudio di romanticume (la finale Bittersweet potrebbe essere un brano dei Coldplay per dire) da rocker di strada anche questo decisamente agèe, ma che qualche parte del cuore riesce comunque a toccare.
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