Ben
Bedford
Portraits
(2020, Cavalier Recordings)
File Under: History Lesson
Era il 2009 e tra i dischi di outsiders dagli Usa mi capitò di recensire l’esordio di Ben Bedford, giovane cantautore proveniente da Springfield, disco in verità uscito più di un anno prima, ma recuperato per segnalare un autore che già allora notavo come particolarmente dotato nella scrittura, sebbene musicalmente fedele a ai canoni rigidi della canzone americana. Da allora abbiamo seguito la sua carriera, che nel 2018 con The Hermit’s Spyglass è arrivata a cinque album, tutti molto interessanti, sebbene rimasti comunque un fenomeno da sottobosco della roots music. Ma il segnale che qualche riconoscimento perlomeno in patria gli sia arrivato è la pubblicazione di questo Portraits, prima raccolta della sua carriera che serve anche un po’ a sopperire alla difficile reperibilità dei suoi primi 3 titoli. I dodici brani scelti partono proprio da dove lo avevamo incontrato, dagli 8 minuti di Lincoln’s Man, il suo principale biglietto da visita lirico. The Sangamon, contenuta nel secondo disco Land of the Shadows del 2009, dimostra invece come all’inizio Beford cercava nella lezione di cantautori come Townes Van Zandt o Gordon Lightfoot quel mix di asprezza lirica e dolcezza melodica su cui basare la sua musica. Il suo cantato un po’sgraziato e monotono è stato un po’ il suo tallone d’Achille nei suoi primi anni, ma già What We Lost, tratta dall’omonimo terzo album del 2012, mostra i chiari segni di maturazione da perfomer. Col tempo la sua scrittura si è fatta più asciutta, ha perso forse un po’ della verbosità da professore quale è stato (insegnava storia), in favore di una forma canzone più classica e snella che ha fatto si che i suoi due ultimi album abbiano avuto un po’ più di buoni riscontri, ma questa raccolta già mostra, riassumendo il suo primo periodo quanto in fondo già ci stava lavorando bene. E se le storie tipiche del folk più classico restano la sua prima passione (Amelia), già Land Of The Shadows (For Emmett Till) e John The Baptist o Guinevere Is Sleeping mostrano un amore per la letteratura e le citazioni che quasi me lo farebbero paragonare al nostro Roberto Vecchioni in vena di lezioni liceali. In ogni caso se vi viene voglia di recuperare album più maturi come The Pilot And The Flying Machine del 2016, questo Portraits è davvero un valido riassunto delle puntate precedenti di un autore la cui statura resta di nicchia, ma pur sempre di quella nicchia che per noi non smetterà mai di destare interesse, finché l’America raccontata da questi autori sarà presente prepotentemente nelle nostre vite con le sue storie sospese tra grandezza e follia, nel bene e nel male parte anche del nostro background culturale.
Nicola Gervasini
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