Vari -
I’ll Be Your Mirror: A Tribute to the Velvet Underground and Nico
Verve,
2021
I dischi tributo, si sa, sono una
categoria a parte nel mondo discografico. Nati verso la fine degli anni
ottanta, quando anche il ritorno sulle scene di band dimenticate nei meandri
degli anni sessanta e settanta inaugurò la prima fase autoreferenziale del
classic-rock (ai tempi non lo si chiamava ancora così), negli anni 90 il
formato ebbe un grande successo, sia perché c’era terra vergine di nomi da
tributare, anche meno conosciuti (quanti giovani dediti al grunge scoprirono i 13th
Floor Elevators grazie ad un bel tributo uscito proprio in quegli anni?), sia
perché ai tempi poi i cd si vendevano, e ancor più se presentavano nomi
accattivanti. Quello che sorprende è invece che la moda del tribute-album non
sia scomparsa nei 2000, anzi, in un’era di revival cronico assistiamo a nuovi
tributi ad artisti già “tributati”, perché in fondo la formula non ha limiti finché
ci saranno giovani e vecchi artisti disponibili al gioco della cover. I'll
Be Your Mirror. A Tribute to The Velvet Underground & Nico si inquadra poi
nell’ottica del rilancio di una etichetta storica come la Verve, dopo che nel
2006 la Universal l’aveva ridotta al rango di puro marchio storico licenziando
l’85% del suo personale. I Velvet Underground, si sa, aprirono i cataloghi
della sigla, di solito dedicati solo al jazz, a mondi inesplorati, e quindi ora
che il nome Verve torna a riscoprire anche nuovi talenti, pare giunto il
momento di ringraziare la band di Lou Reed e soci. Non è ovviamente il primo
tributo alla band, la Imaginary ne licenziò ad esempio uno triplo nel 1991,
intitolato Heaven & Hell, con il meglio del nuovo rock di Seattle e
dintorni, Nirvana compresi, ed è curioso notare che a quel progetto partecipò
in veste da solista Lee Ranaldo dei Sonic Youth, mentre qui è il suo vecchio compare
Thurston Moore (aiutato dal Primal Scream Bobbie Gillespie) a ribadire il
debito nei confronti dei Velvet Underground, e forse anche a chiudere un
cerchio. Per il resto il gioco in questi casi, dichiaratamente fine a sé stesso
, è scoprire chi aggiunge e chi toglie, ma qui ovviamente sarete voi a metterci
il vostro gusto, anche se è innegabile che Michael Stipe nelle canzoni dei Velvet
ci ha sempre sguazzato come se fosse il suo brodo primordiale, mentre la coppia
Sharon Van Etten/Angel Olsen tradisce un po’ di timore reverenziale trasformando
Femme Fatale in qualcosa di poco sostenibile, per non parlare della
inspiegabilmente inutile versione offerta da St. Vncent con Thomas Bartlett. La
sua è comunque l’unico scivolone dell’album, perché sia i vecchi (Iggy Pop
dimostra che European Son poteva benissimo essere una outtake di Funhouse), sia
i grandi nomi degli anni 2000 (Matt Beringer dei National penso abbia coronato
il suo sogno di far finta di essere Lou Reed, Andrew Bird si fa ben aiutare dai
Lucius, ma meglio di lui fa Kurt Vile che dona vigore ad un brano poco
celebrato come Run Run Run), sia quelli più di ultimo pelo (Courtney Barnett,
la cui scordatissima versione di I’ll Be Your Mirror finisce ad essere una
delle cose più riuscite del disco, o i Fontaines D.C che si divertono a calarsi
nell’atmosfera acida del tempo), ne escono più che degnamente. Resta comunque
un progetto un po’ deludente visti i nomi in campo, ma diamo la colpa al troppo
rispetto ad una band forse seconda solo ai Beatles in termini di influenza su
altri artisti.
La scaletta
1. Sunday
Morning – Michael Stipe
2. I’m
Waiting For The Man – Matt Berninger
3. Femme
Fatale – Sharon Van Etten (w/ Angel Olsen)
4. Venus In
Furs – Andrew Bird & Lucius
5. Run Run
Run – Kurt Vile
6. All
Tomorrow’s Parties – St. Vincent & Thomas Bartlett
7. Heroin –
Thurston Moore feat. Bobby Gillespie
8. There
She Goes Again – King Princess
9. I’ll Be
Your Mirror – Courtney Barnett
10. The Black
Angel’s Death Song – Fontaines D.C.
11.
European Son – Iggy Pop & Matt Sweeney
VOTO: 6
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