Parliamo di van morrison..ancora?
Chi conosce Van Morrison non ha mai smesso di ascoltarlo,
per cui perché avrebbe ancora senso parlarne a lungo, sviscerarne i dischi e le
canzoni, se non per il mero piacere del revival? O, più drammaticamente, come
si potrebbe convincere oggi, nel 2021, qualcuno ad addentrarsi nella sua ormai
vasta e dispersiva discografia? Paradossalmente si potrebbe cominciare dalla
fine, dal chiedersi perché ancora oggi un vecchio uomo che si unisce ad una
protesta così moderna come quella contro i lockdown per il Covid, faccia ancora
notizia. Non perché sia necessario per forza essere d’accordo con lui, ma
perché sulla visione critica del mondo e delle sue logiche basate sul profitto,
Morrison ci ha costruito una intera carriera e una poetica. Che ha portato
molti a considerarlo un po’ un solitario orso brontolone, ma che in fondo ne ha
salvaguardato l’opera anche in anni in cui era davvero difficile riuscirvi, e
si vedano i suoi anni 80 così in controtendenza con i suoi coetanei, impegnati nell’effimera
rincorsa ad un ammodernamento di suoni e immagine, in cui forse solo lui e Paul
Simon si sono davvero salvati sempre a pieni voti e senza compromessi. Scoprire
oggi Van Morrison vuol dire imparare a vedere come una visione “da fuori” si
possa tramutare in qualcosa di positivo e non necessariamente sempre in un
ostinato atteggiamento “anti”, e ne è testimonianza anche il suo ultimo disco Latest
Record Project, Volume 1, arrabbiato si, ma anche uno dei più gioiosi e festosi
della sua carriera. Insomma, gli artisti devono essere abili non tanto a fare rivoluzioni,
ma a cantarle, e Van Morrison ha fatto questo fin dai suoi primi giorni con i
Them, con una coerenza a volte persin esagerata, ma che alla fine resta una
testimonianza più che mai moderna di come è possibile fare critica sociale da
antagonisti senza per questo essere solo distruttivi. Per questo serve ancora
parlare di lui, perché la sua musica si nutre come sempre di passato, ma suona
ancora viva nel presente. E nel presente Van Morrison resta un maestro, perché
da lui derivano almeno due filoni di musicisti apparentemente in antitesi come
i tanti cantautori anche recenti che hanno chiuso le proprie canzoni
nell’intimità con Astral Weeks sul comodino, sia quelli che hanno capito che il
soul e il jazz potevano essere anche dei semplici ingredienti per trovare una
via stilistica personale (ne sanno qualcosa gente come Bruce Springsteen, Graham
Parker), sia chi poi ha usato come lui la tradizione per fare musica d’autore
(i Waterboys ad esempio). Ma oltre che musicalmente, è anche un maestro di
vita, con tutta la sua poetica di unione spirituale con la natura, la sua filosofia
del “So Quiet In Here” che dovrebbe essere usata come training autogeno nei
nostri tempi improntati alla frenesia e all’incapacità di soffermarsi sui
particolari. Quando invece lui su quei particolari, apparentemente
insignificanti, ci ha scritto più di cinquecento canzoni, rendendoli una
ragione per vivere, e per vivere pure bene. Anche nel 2021.
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