venerdì 4 febbraio 2022

THALIA ZEDEK

 

Thalia Zedek Band - Perfect Vision

 2021, Thrill Jockey

 

Ci sono artisti che sono per noi una sicurezza, a volte proprio per la loro affidabilità nel non riservare mai troppe sgradite sorprese, mantenendo invariato il livello alto delle loro produzioni. A metà tra un quasi immobilismo stilistico e la continua conferma di un talento, è anche Thalia Zedek, artista davvero atipica nel panorama odierno. Molto osannata ai tempi dei suoi primi album (Been Here and Gone del 2001 e Trust Not Those in Whom Without Some Touch of Madness del 2004), è stata poi secondo me un po’ dimenticata e ignorata da molte testate, nonostante la sua non numerosissima discografia non abbia mai avuto segni di vero cedimento. E non fa eccezione Perfect Vision, ottavo album della sua carriera (non facendo distinzioni tra quelli a suo nome e a quelli a nome Thalia Zedek Band come il qui presente), che pare solo in apparenza voler cambiare le carte in tavola, se è vero che l’iniziale Cranes pare addirittura azzardare una verve gentile e radio-friendly grazie alla suadente pedal steel di Karen Sarkisian, ma è solo un episodio, perché già da Smoked (con Alison Chesley al violoncello) si torna nel torbido e oscuro rauco rock cantautoriale che la contraddistingue da sempre. Prodotto con la collaborazione di Seth Manchester, il disco conferma la Zedek come autrice capace di raggiungere grande tensione (ascoltate la conclusiva Tolls) e per nulla avvezza ad inquinare il proprio suono da bassifondi del rock, una caratteristica che rende i suoi dischi sempre validi, ma forse anche abbastanza simili. In ogni caso la band gira come al solito alla grande, con una sezione ritmica (il bassista Winston Braman e il batterista Gavin McCarthy) che ormai la segue alla perfezione nel suo incedere spesso aritmico, e il chitarrista Jason Sanford che non cede mai neanche per caso alla tentazione di ricamare melodie laddove non ce ne sono. Squadra che vince non si cambia insomma, anche se gli interventi di altri musicisti rendono il piatto stavolta più ricco, con Mel Lederman che contrappunta con il suo piano la bella Binoculars, e la tromba di Brian Carpenter che fa capolino in From the Fire. Ma, alla fine, se già avete amato i suoi album precedenti, non c’è molto da dannarsi per descrivervi in anticipo quello che troverete in brani come The Plan o Remain, il che rappresenta forse il suo limite, e la ragione per cui sia rimasta un po’ ai margini, non tanto di un mercato discografico a cui forse non ha mai voluto partecipare da protagonista, ma di un apprezzamento generale di stampa e pubblico di appassionati. Non dimenticatevi invece della Zedek, in fondo continua a fare in buon modo quello che gente come Mark Lanegan e Nick Cave non riescono più a fare in maniera così semplice e genuina.

VOTO: 7

 

Nicola Gervasini

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