Thalia Zedek Band - Perfect
Vision
2021, Thrill Jockey
Ci
sono artisti che sono per noi una sicurezza, a volte proprio per la loro
affidabilità nel non riservare mai troppe sgradite sorprese, mantenendo
invariato il livello alto delle loro produzioni. A metà tra un quasi
immobilismo stilistico e la continua conferma di un talento, è anche Thalia
Zedek, artista davvero atipica nel panorama odierno. Molto osannata ai tempi
dei suoi primi album (Been Here and Gone del 2001 e Trust Not Those in Whom
Without Some Touch of Madness del 2004), è stata poi secondo me un po’
dimenticata e ignorata da molte testate, nonostante la sua non numerosissima
discografia non abbia mai avuto segni di vero cedimento. E non fa eccezione
Perfect Vision, ottavo album della sua carriera (non facendo distinzioni tra
quelli a suo nome e a quelli a nome Thalia Zedek Band come il qui presente), che
pare solo in apparenza voler cambiare le carte in tavola, se è vero che l’iniziale
Cranes pare addirittura azzardare una verve gentile e radio-friendly grazie
alla suadente pedal steel di Karen Sarkisian, ma è solo un episodio, perché già
da Smoked (con Alison Chesley al violoncello) si torna nel torbido e oscuro
rauco rock cantautoriale che la contraddistingue da sempre. Prodotto con la
collaborazione di Seth Manchester, il disco conferma la Zedek come autrice
capace di raggiungere grande tensione (ascoltate la conclusiva Tolls) e per nulla
avvezza ad inquinare il proprio suono da bassifondi del rock, una
caratteristica che rende i suoi dischi sempre validi, ma forse anche abbastanza
simili. In ogni caso la band gira come al solito alla grande, con una sezione
ritmica (il bassista Winston Braman e il batterista Gavin McCarthy) che ormai
la segue alla perfezione nel suo incedere spesso aritmico, e il chitarrista
Jason Sanford che non cede mai neanche per caso alla tentazione di ricamare
melodie laddove non ce ne sono. Squadra che vince non si cambia insomma, anche
se gli interventi di altri musicisti rendono il piatto stavolta più ricco, con
Mel Lederman che contrappunta con il suo piano la bella Binoculars, e la tromba
di Brian Carpenter che fa capolino in From the Fire. Ma, alla fine, se già
avete amato i suoi album precedenti, non c’è molto da dannarsi per descrivervi
in anticipo quello che troverete in brani come The Plan o Remain, il che
rappresenta forse il suo limite, e la ragione per cui sia rimasta un po’ ai
margini, non tanto di un mercato discografico a cui forse non ha mai voluto
partecipare da protagonista, ma di un apprezzamento generale di stampa e
pubblico di appassionati. Non dimenticatevi invece della Zedek, in fondo
continua a fare in buon modo quello che gente come Mark Lanegan e Nick Cave non
riescono più a fare in maniera così semplice e genuina.
VOTO:
7
Nicola
Gervasini
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