lunedì 28 dicembre 2009

JAMES YORKSTON - Folk Songs


04/12/2009
Rootshighway




Ci sarebbe da tirare le orecchie a miriadi di artisti per come ingarbugliano le loro discografie di titoli superflui, con l'unico risultato di far perdere la bussola a chi non è fan dedicato. La lista di esempi è lunghissima, ma stavolta dietro la lavagna ci mandiamo James Yorkston, nu-folker che seguiamo con ammirazione, quanto anche col fiatone di chi non sempre riesce a stare al ritmo delle sue produzioni. Che, a ben guardare, sono poche e centellinate, se prendiamo gli album veri e propri: quattro in otto anni, con una buona accoppiata all'esordio (Moving Up Country e Just Beyond The River), un terzo disco irrisolto e oscuro (The Year Of The Leopard) e un quarto che ha fatto il botto (When The Haar Rolls In), divenendo il suo personale capolavoro. Un percorso normale per un artista ormai maturo, nonché una delle poche menti rimaste "pensanti" e non solo "suonanti" del brit-folk inglese di stampo classico. Ma in mezzo James ci ha piazzato una miriade di progetti a latere, ep, live, raccolte di b-sides (Roaring The Gospel), e ora, immancabile e puntuale come la morte, arriva anche il cover-album di traditionals, feticcio senza il quale non bisogna neanche osare definirsi artista moderno.

Folk Songs (un paio di minuti in più a pensare un titolo meno ovvio no, eh?) viene così licenziato quando ancora non abbiamo finito di sviscerare gli splendidi meandri del suo disco precedente, e ci costringe così a riportare in auge la solita trita e ritrita tiritera del "si ascolta con piacere, ma…", "non che sia brutto, ma..." e "disco solo per fans…", con l'infelice decisione di non affibbiare il 4 che meriterebbe l'originalità dell'idea, e nemmeno l'8 di cui tutti questi brani sono più che degni destinatari. Salomonico 6 dunque per ricordare che il disco è ben suonato dai Big Eyes Family Players, band che ha all'attivo una propria produzione di genere fin dal 1990, apporto che comunque non evita qualche sbadiglio e eccessivi rilassamenti sparsi. E poi per ricordare il repertorio scelto, tutto incentrato sulle canzoni di pubblico dominio riscoperte nel periodo del folk-revival di fine anni sessanta, con particolare dedica all'affascinante figura di Anne Briggs, che qui viene "ripresa" nell'iniziale Hills Of Greenmoor, in Martinmas Time e in Thorneymoor Woods, tutti titoli che si trovano nella sua breve e sempre da riscoprire produzione.

Un secondo intenso pensiero viene rivolto ad un altro dimenticato eroe come Nic Jones, che qui viene richiamato tramite Rufford Park Poachers e Little Musgrave, e così via, con omaggi ad altri idoli di gioventù come Shirley Collins, Jean Ritchie, Eliza Carthy, Nancy Kerr e svariati paladini di un ritorno alle radici neanche troppo annacquato dai suoni rock. Folk Songs è un disco che Yorkston sognava di fare fin dal 2000: serviva a lui, serve sempre perché è musica di gran valore, ma non servirà molto quando dovremo ricordarci perché mai lo consideriamo uno degli incontri più significativi fatti durante i nostri viaggi sulle highways britanniche.
(Nicola Gervasini)

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