sabato 19 dicembre 2009
HOOTS AND HELLMOUTH - The Holy Open Secret
Buscadero
Dicembre 2009
Scandagliando tra le mille uscite indipendenti della musica americana capita di incappare in qualche deliziosa piccola sorpresa come questo The Holy Open Secret, secondo album degli Hoots And Hellmouth. Nati come duo nel 2005 formato da Sean Hoots e Andrew "Hellmouth" Gray, entrambi voce e chitarra, la band si è completata con l’aggiunta del mandolinista Rob Berliner e del bassista John Branigan, diventando uno degli appuntamenti live più richiesti nella zona di Philadelphia. Per spiegare il loro stile potremmo anche citare alcuni nomi che hanno seguito in tour come gruppo spalla (Heartless Bastards, Langhorne Slim, Grace Potter), vale a dire tre simboli di potenza, folk moderno e tradizione, esattamente gli elementi che troviamo in questi frizzantissimi dieci brani. Pur mantenendo un impianto prettamente acustico, la musica degli Hoots And Hellmouth si figura essere particolarmente aggressiva e movimentata, quasi un gruppo rock in versione unplugged, come dimostrano episodi da cowboy-punk come You And All Of Us e l’irruente Watch Your Mouth, ma, appena possono, trovano subito il giusto registro per offrire ballate melodiche come Three Penny Charm o momenti riflessivi come Ne’er Do Well. Senza sconvolgere nessun equilibrio della musica moderna, gli Hoots And Helmouth dimostrano già una discreta personalità nel non ricalcare troppo schemi altrui, anche se forse qualcuno potrebbe sentirci molto di Conor Oberst nell’iniziale Root Of The Industry, oppure dello stesso Langhorne Slim nelle stravaganze acustiche di Dishpan Hands, se non magari mille altri esempi alla Randy Newman per l’esperimento jazzy di The Family Band. Ma episodi come la travolgente What Good Are Plowshares If We Use Them Like Swords?, con il suo penetrante organo soulful, o il tour de force della acustiche di Known For Possession, rendono bene anche in studio la loro veemenza live. Chiude il disco la divertente Roll, Brandywine, Roll e tutti a casa in tempi brevi. Disco consigliatissimo se amate gli intrecci di strumenti a corde (chitarre, banjo, mandolini) e se ancora vi state chiedendo che disco avrebbero potuto fare i Clash realizzando un album “americano” senza spina.
Nicola Gervasini
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