mercoledì 2 dicembre 2009

BAP KENNEDY - Howl On


09/11/2009
Rootshighway



Figlio minore di una generazione di folker nord-britannici (dai Pogues ai Waterboys, per arrivare agli Hothouse Flowers e ai suoi Energy Orchard), irripetibile quanto ormai dispersa tra drastici cali d'ispirazione e rovine fisiche, Bap Kennedy non molla il colpo e continua imperterrito a seguire la sua strada. Un sentiero che dai pascoli della verde Irlanda porta inevitabilmente a qualche highway americana, ormai talmente calato nella parte di un "Hillbilly Shakespeare", da aver prodotto con questo Howl On una sorta di concept album sull'America, vista con i suoi occhi da ragazzino negli anni sessanta. E così dopo l'omaggio alla musica d'Irlanda della sua ultima fatica (The Big Picture del 2005), Howl On ribadisce la sua appartenenza stilistica fin dal primo brano, l'accorata America che racconta dei tanti piccoli Belfast Cowboys che vivevano aspettando notizie da quell'oltreoceano mitico e mitizzato. Il racconto prende spunto dallo stupore per la visione dei primi uomini sulla luna ("They took Hank Williams to the moon" canta in Cold War Country Blues), vero simbolo di un sogno americano che non aveva confini, almeno agli occhi dei piccoli irlandesi che dovevano fare i conti con la loro società lacerata da povertà e diatribe religiose.

L'America era dunque il simbolo della giustizia (se ne parla in The Right Stuff, piccola ballata capolavoro, con intarsi di chitarre e dobro quasi da frontiera texana), ed era bello non accorgersi da bambini innocenti della differenza tra realtà e finzione (Irish Moon gioca sullo strano caso di omonimia tra il Michael Collins che fu il terzo uomo dell'equipaggio dell'Apollo 11 e il noto attivista irlandese, e sulla conseguente confusione che questo generò nelle menti di un bambino). E poi ovviamente l'America del rock, quella del festival di Woodstock, qui raccontata tramite una versione di Hey Joe che trasforma in Irlanda ciò che Willy DeVille anni fa riportò in Messico, con la partecipazione della chitarra di Henry McCullough, un nome che qualcuno potrà ricordare nei Wings di Paul McCartney, ma che a Belfast è riverito come "l'unico irlandese presente a Woodstock" (era con Joe Cocker).

Nella seconda parte Kennedy perde leggermente il ritmo del racconto, se è vero che dopo la bellissima title-track, affiora qualche brano (la sequenza Brave Captain, The Heart Of Universal Love e la folk Last Adventure ad esempio) che avrebbe necessitato di più nerbo negli arrangiamenti (il sound prettamente acustico richiama molto quello delle produzioni nashvilliane di fine anni sessanta, quasi in zona John Wesley Harding di Dylan diremmo). Si arriva comunque soddisfatti al finale di Ballad Of Neil Armstrong, una ninna nanna in chiave country che manda i bimbi di Belfast a letto a sognare di diventare il loro eroe americano che passeggiava sulla luna. Il vero sogno americano invece sarebbe già finito pochi anni dopo, con la presa di coscienza del Vietnam, la crisi economica, e la scoperta di un mondo che non era proprio come Walt Disney lo aveva disegnato.
(Nicola Gervasini)

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