martedì 22 dicembre 2009

PETER BRADLEY ADAMS - Traces


Buscadero
Dicembre 2009




Il mondo si è accorto di Peter Bradley Adams nel 2005, quando una cover del traditional Hard Times (Come Again No More) commentò le immagini del film Elizabethtown di Cameron Crowe. La sua band allora si chiamava Eastmountainsouth, e l’avventura cinematografica era il risultato di un contratto firmato da Bradley con la Dreamworks grazie al direttore artistico dell’area musicale della nota casa cinematografica, un “certo” Robbie Robertson, che ormai da anni fa vita da dirigente. Con un simile nobile sponsor, Bradley ha avuto l’occasione di registrare due album da solista (Gather Up del 2006 e Leavetaking l’anno scorso), apprezzati esempi di folk delicato e “poppish”, che gli hanno fatto guadagnare riconoscimenti e onori dagli addetti ai lavori. Traces continua a seguire la linea a basso profilo già intrapresa in passato, anche se stavolta affiora una maggiore attenzione agli arrangiamenti, come risulta subito evidente dallo studiato impasto di voci (l’aiuta la brava cantautrice Katie Herzig) che impreziosisce l’iniziale Family Name. Nonostante l’utilizzo di tanti strumentisti acustici e archi, alla fine il fulcro dell’album restano i bozzetti per sola chitarra e voce come For You, Darkening Sky o I Cannot Settle Down. E’ un disco non facile, perché le canzoni di Adams risultano davvero avere una marcia in più in termini di scrittura (sentite attentamente I Won’t o Trace Of You e poi ci dite), ma evidentemente manca qualcosa in sede di produzione (lui stesso si assume l’onere) che riesca a far risaltare questa grande dote nel dovuto modo, perché ai primi sommari ascolti (quelli che purtroppo i tanti navigatori del web concedono a queste produzioni indipendenti) il disco appare più piatto e monotono di quanto in verità non sia. Certo, ogni tanto Adams si addormenta un po’ sulle sue stesse note (From The Sky evoca un po’ troppo), ed è probabilmente vero che i testi intimistici e un po’ depressi finiscono per prendersi un po’ troppo sul serio, ma se qualcuno desse Tell Myself in mano ad una band soul con tanto di sezione fiati, ne verrebbe fuori probabilmente la migliore soul-ballad alla Otis Redding dell’anno. Disco comunque consigliato agli amanti delle tinte tenui ed autunnali, Traces lascia ancora l’impressione di non essere il titolo giusto per promuovere Peter Bradley Adams tra i grandi.

Nicola Gervasini

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