sabato 13 febbraio 2010

NICOLAI DUNGER - Play


Febbraio 2010
Buscadero



"…e poi un giorno capì che era ora di capitalizzare mille idee diverse e i tanti spezzoni della propria arte lasciati per strada, e così è nato Play". Scusate se siamo partiti dal finale di questa storia poco nota, ma magari di Nicolai Dunger avete già sentito parlare quando nel 2003 un’entusiasta Will Oldham lo sdoganò partecipando al suo disco Tranquil Isolation, o ancora quando il successivo album si pregiò della firma di Mercury Rev in produzione. Oppure ve lo siete perso, semplicemente perché tredici dischi in undici anni di un artista svedese è facile che passino inosservati. Sicuramente lui non aveva ben sfruttato il momento favorevole, perdendosi in mille Ep e progetti sotto altro nome, e riscuotendo infine buona popolarità solo nel 2008, quando la connazionale Volvo usò una sua canzone per promuovere una propria vettura negli Stati Uniti. Play arriva a mettere a posto tutte le divagazioni di questi anni (dischi in lingua svedese, quartetti d’archi, terzetti jazz,…) grazie ad una produzione pulita (co-produce Staffan Andersson, un nome importante della nuova scena scandinava) ed un taglio decisamente roots-oriented negli arrangiamenti, tutti giocati sullo scambio acustiche-elettriche. Canzoni calde a dispetto della provenienza climatica (il disco è stato registrato praticamente al Polo Nord), persino romantiche quando non ci si vergogna del taglio mainstream del duetto con l’amica Nina Persson dei Cardigans (Tears In A Childs Eye), ma con soluzioni da vero songwriter americano degli anni 70 che rendono Crazy Train e Can You delle vere e proprie perle del genere. Sebbene si tratti di una registrazione casalinga, Dunger non nega nulla anche alla spettacolarità, per cui tra i brani sospirati da vero slow-core folker alla Bon Iver come Heart And Soul e When Your Work Is Done, affiora ad esempio un boogie con sezione fiati rhtythm & blues (Time Left To Spend). E ancora scherzi da vintage vaudeville come Entitled To Play, un numero d’altri tempi che susciterà l’invidia di Rufus Wainwright, oppure ballate acustiche a due voci con corde che sfrigolano (The Girl With The Woolen Eyes) o il finale baldanzoso di Many Years Have Passed, tutte prove di un autore forse non originalissimo con la penna, ma pieno di vitalità nel realizzare la propria musica. Lasciatevi dunque cullare dalla bellissima voce di Nicolai (alcuni vocalizzi ricordano lo Shawn Phillips che fu), uno che dopo tanto girovagare, ha finalmente realizzato un disco ben fatto e ben pensato dall’inizio alla fine. Alcuni la chiamano semplicemente maturità.
Nicola Gervasini

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