giovedì 25 febbraio 2010

FALLING MARTINS - Shining Bright


25/01/2010
Rootshighway


In Italia i Falling Martins li abbiamo scoperti grazie ad un sorprendente (e torrenziale) doppio album dal vivo (Live At The Old Rock House), tante belle canzoni che in pochi avevano avuto l'occasione di sentire nei tre album in studio pubblicati fino a quel momento da questa formazione di St Louis. Curiosità e anche una certa attesa dunque per questo Shining Bright, quarto album di materiale originale, nonché il primo ad uscire dopo i tanti consensi riscossi nelle classifiche di fine anno (che a quanto pare però non sono valsi un contratto con un'etichetta di rilievo). Che è, a conti fatti, un disco per certi versi sorprendente, perché il live aveva evidenziato una band con un gran bel feeling e un discreto songwriting di stampo classico, ma anche con limitati orizzonti in termini di fantasia e varietà di soluzioni. Invece il vocalist Pierce Crask e compagni qui giocano la carta della disomogeneità e di una certa confusione tipica dei dischi in studio delle band del circuito H.O.R.D.E. che fu (per chi non lo ricorda, era un festival itinerante degli anni 90, il cui acronimo significava più o meno "orizzonti di un rock che si sviluppa ovunque"), vale a dire quel senso di grandi potenzialità spesso non pienamente espresse che davano alcuni dischi dei Widespread Panic o dei Blues Traveler, guarda caso band che loro hanno spesso seguito in tour come spalla.

I ragazzi qui sfruttano bene la loro capacità di scrivere belle ballate da strada degne delle migliore red dirt music moderna (Unkind), a volte impreziosendole con chitarre alla Neil Young (When Spring Came) o giocando un po' a camuffare la voce con i microfoni (Country Flower). Ma l'attacco di Bill Mauldin's Star pare un evidente tentativo di confezionare un brano molto radiofonico, che si distacchi dalla filosofia da band on the road, e bisogna ammettere che se l'intenzione era di creare un piacevole tormentone da car-radio, ci sono pienamente riusciti. Altrove invece altri tentativi di cambio di stile come la quasi swingata Everything That Glitters o la ballatona facile facile di Oasis (già sentita in miglior versione in apertura del live) sembrano un po' avere il fiato corto. Meglio quindi quando vanno sul sicuro con una slow-song epica (Colt In The Sun) o sentimentale (Black Label), o quando in No Surprise cercano anche tra le mura degli studios il ritmo trascinante di un finale di concerto (bello in questo caso il duello slide-wurlitzer).

Chiusura in versione bar-band con il piano balzellante di Outside The Door e tutti a casa dopo una canonica quarantina di minuti di pura american-music. Probabilmente Shining Bright conferma quanto già sospettavamo, cioè che la storia della musica americana non troverà nei Falling Martins un punto di svolta, quanto solo l'ennesimo combo che sa raccontare bene le proprie storie davanti ad un ascoltatore e non ad un registratore.
(Nicola Gervasini)

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