05/03/2010
Rootshighway
Il miglior modo di realizzare un secondo disco sarebbe quello di saltare direttamente al terzo probabilmente, evitando dunque il confronto, il dover soddisfare le attese e confermare quei complimenti che solo le opere d'esordio sanno captare. Ma non si può, e quindi mirino puntato sulla canadese Basia Bulat, solo due anni fa "next big thing" del nuovo folk femminile con l'esordio Oh My Darling, non certo un capolavoro, ma sicuramente il classico bel disco scritto durante un'intera adolescenza e messo a fuoco a 23 anni con tanta inesperienza in dotazione ma con quel sacro fuoco artistico che ci anima nei nostri anni verdi. Esattamente quello che non sono le canzoni di Heart Of My Own, secondo capitolo scritto sulla strada durante tre anni passati a raccogliere consensi, un'opera di un'artista arrivata, non di una che vuole arrivare. Cambia tutto quindi, non magari lo stile, sempre legato a quella matrice canadese che si rifà a Joni Mitchell (facile tirarla in ballo quando praticamente ogni canzone sembra pensata con Blue che gira nel lettore accanto) o al primissimo Bruce Cockburn innamorato della sua chitarra acustica.
Prodotto ancora una volta da Howard Bileman (Arcade Fire tra i suoi assistiti), l'album presenta dodici brani dall'ossatura prettamente acustica, con grande fiducia nella voce di Basia, un po' Tracy Chapman (in Run la ricorda proprio molto), un po' se stessa, e un evidente tentativo di continuare a far risaltare le canzoni a discapito della spettacolarità. E il gioco nelle prima fasi sembra anche funzionare, se è vero che Go On è una partenza che ben dispone e Sugar And Spice arriva poco dopo a cercare di piazzare il colpo del knock-out. Ma proprio quando il disco dovrebbe salire di tono, la Bulat cade nella propria autoindulgenza (suona lei la maggior parte degli strumenti), infilando una serie di brani senza troppa spina dorsale (Heart Of My Own), se non proprio bruttarelli (If Only You) o noiosi (Sparrow). E' l'empasse da secondo album evidentemente, quello scarso fluire di note e parole che rende molte di queste canzoni legnose e poco memorizzabili, e quando poi in The Shore si addormenta sui tasti di un piano, ci sembra davvero di capire quale sia il male che attanaglia troppe produzioni odierne.
Fortuna nostra che la ragazza riesce comunque ad uscirne, perché in ogni caso in molte occasioni dimostra talento e savoir faire, fino a quando con Walk You Down infila anche il piccolo capolavoro, e visto che siamo arrivati alla traccia 11, la reazione naturale è quella di dire "ma non poteva dirlo prima?". In ogni caso il tentativo di restyling e ingrassamento della formula con qualche tastiera e fiato in più non ha sortito effetti significativi, Heart Of My Own è solo un discreto seguito di un bel disco, e non potendo contare sull'effetto novità e neppure sull'accattivante copertina dell'esordio, è facile immaginare che non farà lo stesso rumore.
(Nicola Gervasini)
Prodotto ancora una volta da Howard Bileman (Arcade Fire tra i suoi assistiti), l'album presenta dodici brani dall'ossatura prettamente acustica, con grande fiducia nella voce di Basia, un po' Tracy Chapman (in Run la ricorda proprio molto), un po' se stessa, e un evidente tentativo di continuare a far risaltare le canzoni a discapito della spettacolarità. E il gioco nelle prima fasi sembra anche funzionare, se è vero che Go On è una partenza che ben dispone e Sugar And Spice arriva poco dopo a cercare di piazzare il colpo del knock-out. Ma proprio quando il disco dovrebbe salire di tono, la Bulat cade nella propria autoindulgenza (suona lei la maggior parte degli strumenti), infilando una serie di brani senza troppa spina dorsale (Heart Of My Own), se non proprio bruttarelli (If Only You) o noiosi (Sparrow). E' l'empasse da secondo album evidentemente, quello scarso fluire di note e parole che rende molte di queste canzoni legnose e poco memorizzabili, e quando poi in The Shore si addormenta sui tasti di un piano, ci sembra davvero di capire quale sia il male che attanaglia troppe produzioni odierne.
Fortuna nostra che la ragazza riesce comunque ad uscirne, perché in ogni caso in molte occasioni dimostra talento e savoir faire, fino a quando con Walk You Down infila anche il piccolo capolavoro, e visto che siamo arrivati alla traccia 11, la reazione naturale è quella di dire "ma non poteva dirlo prima?". In ogni caso il tentativo di restyling e ingrassamento della formula con qualche tastiera e fiato in più non ha sortito effetti significativi, Heart Of My Own è solo un discreto seguito di un bel disco, e non potendo contare sull'effetto novità e neppure sull'accattivante copertina dell'esordio, è facile immaginare che non farà lo stesso rumore.
(Nicola Gervasini)
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