mercoledì 17 marzo 2010

MORPHINE - At Your Service


Febbraio 2010

Rootshighway


35 canzoni, più di 2 ore di musica, e Bill Convay nelle note di copertina assicura che Mark Sandman usava registrare qualunque concerto e idea, per cui l'impressione è che questo torrenziale e doppio At Your Service, che la Rykodisc licenzia per celebrare i dieci anni dalla morte del leader dei Morphine, sia solo l'inizio di una pletora di prodotti postumi, roba che potrebbe far impallidire la discografia post-mortem di Jimi Hendrix. Già, Hendrix appunto, un nome che non tiro fuori a caso, se è vero che Sandman amava definire la sua band come i "Baritone Experience". Esiste infatti una sorta di macabro parallelo tra la sua morte e quella di Jimi, niente di strettamente musicale o storico (e ovviamente fatte le debite distanze di importanza e mito), ma solo alcune curiose coincidenze. Entrambi sono morti quando avevano già espresso uno stile unico e particolare, ma sia Mark che Jimi erano nel pieno di una nuova esplosione creativa, stavano sperimentando nuove vie, nuove sonorità, Jimi con nuove band, Mark aveva invece aperto le porte dei suoi studi a collaborazioni e nuove influenze. La storia dei Morphine si dipana in quattro bellissimi album che il mondo della musica non seppe bene come catalogare, e poi c'è un quinto capitolo, The Night, uscito postumo ma in verità già rifinito, un disco ancora oggi inquietante e sconquassante che lascia aperti grossi interrogativi su dove sarebbe arrivata la loro musica se il cuore di Sandman non avesse ceduto sul palco di una triste sera romana.

I Morphine negli anni 90 hanno distorto il canovaccio di rock-band esattamente come fecero gli Experience negli anni 60: si presentavano come un trio jazz, basso-batteria-sax, roba da era del bebop, ma le dinamiche erano ben diverse. Nelle due band infatti la base ritmica aveva un elemento di stabilità che non usciva mai dagli schemi (negli Experience era il bassista Noel Redding, nei Morphine invece il severo batterista Bill Convay), mentre il partner era libero di stravolgere ogni regola del proprio strumento: Mitch Mitchell era solito seguire la melodia e gli assoli della chitarra invece che tenere il tempo (probabilmente l'errore numero uno segnalato da qualsiasi manuale del buon drummer), mentre Sandman si era inventato un basso a due corde, solo il mi e il la, strapazzati su un manico senza tasti con approccio da chitarrista e l'insolito uso del bottleneck per ottenere l'effetto "slide-bass" che rimane il marchio di fabbrica della ditta. E poi il solista: da una parte Hendrix, basta il nome e non c'è nulla da spiegare e ricordare, ma di qua un sassofonista (Dana Colley) che da solo bastava a coprire tutte le frequenze, tanto che mai si ha con loro la sensazione di musica scarna.

I critici impazzirono nel cercare di non dover ammettere che questi bostoniani si erano davvero inventati qualcosa di grande, si cercarono in fretta precursori, e qualcuno dotato di buona memoria si ricordò dei Backdoor, stessa formazione, ma una produzione di dischi strumentali a metà degli anni settanta (ma reunion negli anni 2000) che erano invece un tentativo (anche riuscito in molti casi) di ricreare la veemenza dell'hard rock con suoni jazz. Roba che aveva poco a che fare con i Morphine dunque, mentre l'abitudine di Colley di suonare due sax contemporaneamente ricordò a qualcuno il simile funambolismo di Dick Heckstall-Smith dei Colosseum. Sandman invece veniva dal blues, la sua incarnazione precedente (i trascuratissimi Treat Her Right) suonavano esattamente come i Morphine, solo con un armonicista al posto del sax, la presenza poi ritenuta superflua di una chitarra, brani con strutture più bluesy e senza quello strano tocco dark-new wave fuoriuscito con la sua seconda creatura.

Questa è la storia raccontata da At Your Service, fate voi se considerarlo un perfetto e completo strumento per conoscerli se li ignoravate, o un semplice feticcio per fans da comprare solo se avete già i cinque album in studio, la raccolta di b-sides e il live che lo precedono. E' un lungo viaggio, emozionante ed oscuro, tra brani live già noti (Good, Claire…), qualche deliziosa outtakes sfuggita ai precedenti rastrellamenti (Come Over, Come Along, Women R Dogs) e alternate version che rendono evidente solo come la band provava i brani in diverse tonalità prima di scegliere quella giusta per l'album (si sentano le classiche Buena o Empty Box). In ogni caso siete avvertiti, tutto qui suona a meraviglia, ed è un degno modo di ricordare la band del decennio scorso che forse sta invecchiando meno rispetto ai tanti compagni di viaggio della X-generation. Probabilmente perché erano fuori dal tempo già ai loro tempi.
(Nicola Gervasini)


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