martedì 30 marzo 2010

ALO - Man of the World


Rootshighway
10/03/2010

"Non si preoccupi, sono uomo di mondo" usava dire spesso nei suoi film l'indimenticato Totò, un modo come un altro per dirsi uomo pronto a capire le debolezze umane, grazie all'esperienza e a una certa apertura e flessibilità mentale. Stavolta vogliamo provare ad essere uomini di mondo anche noi, capaci magari di capire quando un disco come Man Of The World degli Animal Liberation Orchestra - alias ALO per comodità nostra e bontà loro - va letto nel suo contesto e non in assoluto per apprezzarlo. Loro sono la punta di diamante dell'etichetta Brushfire di Jack Johnson, addirittura scomodato in veste di produttore in questa occasione, nonché l'ultima (o ormai penultima probabilmente) espressione di quella filosofia inventata dai Grateful Dead 40 anni fa (e trasformata in religione dai Phish negli anni '90) che vuole il gruppo visto non come mera fabbrica di dischi, ma come laboratorio d'idee e improvvisazioni continue sul palco di ogni dove e, solo saltuariamente, casualmente e frettolosamente, negli studi di registrazione. Un genere difficile da affrontare se decidete di transitarci da turisti e non da habituè, perché districarsi tra i mille live, ufficiali o "instant" che siano, è impresa titanica, e conoscere queste band solo tramite i lavori in studio significa poterci capire davvero poco.

Man Of The World non fa eccezione se dovessimo elencare pregi e difetti di queste produzioni, che mischiano sempre troppe idee, troppi stili, hanno sempre momenti altissimi affiancati da lungaggini o esperimenti fini a se stessi. Esattamente quello che ha impedito a band come Phish o Widespread Panic di uscire dal rango di cult-band a livello di uscite discografiche (non certo come entità del loro seguito, che resta enorme), nonostante a ben guardare il loro repertorio sia pieno di grandi canzoni e momenti memorabili, ma che vanno ben cercati in mezzo ad un mare di note
only for fans. E qui di memorabili ci sono i sette minuti di Suspended che aprono il disco, brano emozionante, incedere lento e sofferto alla Felice Brothers, interpretazione da antologia del leader Zach Gill e applausi già conquistati. Peccato che poi il disco non viaggi sempre sullo stesso livello (ma sarebbe stato difficile), e se grazie alla divertente title-track e alla toccante Put Away The Past si procede a buona velocità di crociera, quando si arriva a cosette un po' più inconsistenti come Big Appetite o Gardener's Grave si atterra nuovamente.

Nel finale comunque subentra l'estro e la fantasia della band, quelle che rendono le danzerecce
The Champ e I Love Music un finale con i fiocchi e The Country Electro un riuscito azzardo. Ma come ben potete notare, ci siamo ricascati, stiamo leggendo il particolare e analizzando il dettaglio, quando gli ALO sono solo una di quelle american-band che vanno considerate nell'insieme di un movimento culturale. Colpa nostra che ci ostiniamo a pensare ancora i dischi in termini di opera d'arte e non di semplici contenitori di canzoni a casaccio, forse perché siamo davvero un po' come Totò, che in Totò a colori disse "Non si preoccupi, sono un uomo di mondo", ma aggiunse "ho fatto 3 anni di militare a Cuneo".
(Nicola Gervasini)

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