lunedì 26 luglio 2010

NINA NASTASIA - The Outlaster


I Gudjonsson a Manhattan sono una piccola istituzione dell'elite culturale. Non sono sposati in verità, ma sono da tanti anni un piccolo esempio di perfetta simbiosi artistica tra il genio artistico di lei e la razionalità musicale di lui. Kennan Gudjonsson infatti vive nell'ombra, pensa da tempo a come ammantare le dolci melodie della sua compagna, ma si guarda bene dall'apparire. Perché nel quartiere di Chelsea da più di dieci anni la star è lei, Nina Nastasia, bellezza vitrea, sguardo agghiacciante, tocco folk e voce melodiosa, una sorta di Suzanne Vega trascinata a forza nelle fogne della Grande Mela e fatta riaffiorare da un tombino nel bel mezzo della più sudicia e loureediana strada di New York. Gudjonsson è la sua musa al maschile, ma da anni lascia sempre il posto di produttore (che di fatto gli compete) al ben più blasonato Steve Albini, il Re Mida dell'alternative-rock, e intellettualoide quanto basta perché nel 2000 decidesse di produrre il primo disco di Nina (Dogs) quasi più per vezzo da artista sregolato che per convenienza (il disco praticamente ha avuto una vera distribuzione solo quattro anni dopo).

Ancora oggi Albini considera quell'album una delle sue migliori produzioni, e da allora non ha mai mollato la carriera della Nastasia, fatta di pochi titoli sempre poco venduti, quanto ormai oggetto di un culto smodato. Noi l'avevamo lasciata nel 2006 con il folkish On Leaving, per ritrovarla quattro anni dopo (nel frattempo è uscito anche un progetto a due mani con Jim White intitolato You Follow Me) con The Outlaster, vale a dire il disco della maturità. Una maturazione che lascia anche un po' disorientati a dirla tutta, perché Nina sembra aver perso per strada molto del suo songwriting naif e decisamente newyorkese a favore di una scrittura più intricata e barocca, che avvicina il suo stile sempre più a quello di Joanna Newsom. Anche perché in questo caso a farla da padrone sono le pesanti orchestrazioni pensate e volute dal suo partner, ma condotte e arrangiate da Paul Bryan (come musicista lo ricordiamo al fianco di Lucinda Williams e Elvis Costello, ma come arrangiatore lo abbiamo sentito in azione in recenti produzioni di Aimee Mann e Grant lee Phillips), un tappeto che accompagna l'ascoltatore per praticamente tutti i dieci brani del disco, vuoi con discrezione come nell'iniziale Cry, Cry, Baby, vuoi con una presuntuosa preponderanza in altri episodi (You're A Holy Man).

La sensazione netta è che sa da una parte The Outlaster ci consegna un'artista sempre più consapevole della propria forza, dall'altra stavolta si sia esagerato nell'estetizzare all'estremo alcune canzoni che invece chiedevano solo pochi suoni per mostrare il loro valore (Wakes), magari dando più spazio alla chitarra di Jeff Parker (Tortoise). The Outlaster potrebbe essere anche un bel disco, dipende da come vi ponete davanti ad un prodotto volutamente quanto forse inutilmente ostico.
(Nicola Gervasini)

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