mercoledì 21 luglio 2010

PETER WOLF CRIER - Inter-be


Avanti i prossimi, c’è sempre posto nell’infinto banchetto dell’indie-folk di questi anni, e così c’è spazio anche per i Peter Wolf Crier e il loro album d’esordio. A dir la verità Peter Pisano e Brian Moen, i due fautori del gruppo, amano parlare di “indie-soul”, dicitura di cui è difficile trovare un riscontro in questi brani se non per il fatto che loro vengono da Minneapolis e che forse sì, se si regalasse Saturday Night ad un Solomon Burke in vena d’azzardi, magari ne uscirebbe davvero una gran bella ballata soul. Ma per il resto loro sono il classico esempio di band di seconda generazione di un genere che comincia ad avere ormai forse troppi adepti e troppo simili tra loro. Di certo non sono nuovi questi eterei impasti di voci, sospesi tra Bon Iver, Port O’Brien e chissà quanti altri prima (Bonnie Prince Billy in primis ovviamente), non ci sorprende questo modo di stravolgere le melodie partendo dal cantato e non dall’arrangiamento (in questo caso generalmente anche piuttosto convenzionali), e non è una novità nemmeno la solita storia dell’artista (Pisano) che scrive le canzoni in preda a raptus creativo e chiama l’amico (Moan) a suonare letteralmente “tutto quello che si trova in casa”, visto che il “self-made record” è pienamente di moda. La Jagjaguwar (l’etichetta degli Okkervil River per intenderci) ha così concesso loro un contratto anche corposo a quanto pare, forte della positiva esperienza di vendite avuta con Bon Iver, e Inter-Be esce con il giusto battage pubblicitario del caso. Ma resta difficile oggi giudicare serenamente un album che probabilmente arriva in ritardo, perché probabilmente stiamo entrando in una fase in cui questo tipo di musica ha già speso i propri pezzi da novanta, e queste canzoni suonano come poteva suonare l’esordio di una band grunge arrivata nel 1996, vale a dire già in pieno crepuscolo post-Cobain della scena di Seattle. Ma se siete in spasmodica attesa della conferma del genio di Bon Iver, potete intanto trastullarvi con un duo che alla ricetta di Bon aggiunge forse solo un pizzico di Neil Young in più (You’re So High), ma tanto, tanto genio in meno, In ogni caso Inter-Be è un disco che meritava di essere pubblicato, non fosse altro perché, seppur imitazioni, brani come Down Down Down e Playwright non possono uscire dalla penna degli aridi d’arte. Il caldo consiglio è di non confonderli con quella nota rockstar che non ha il “Crier” dopo il nome, più che altro perché qui la musica va in tutt’altra direzione rispetto a quella intrapresa (con ottimi risultati) dall’ex J. Geils Band. Non è detto che non possano piacervi entrambi comunque, in fondo Inter-Be è un disco meno depresso di quel che sembra, e può anche darsi che possa essere un non riconosciuto precursore di una nuova via “easy-listening” del freak-folk moderno (Nicola Gervasini)

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