martedì 19 ottobre 2010

TOM JONES - Praise and Blame


Se nel mondo dell'industria discografica esistesse una giustizia, gli album uscirebbero sempre con il nome del produttore in copertina, scritto a caratteri grandi quanto quelli dell'artista magari, e non affogato nei credits leggibili solo con lente d'ingrandimento. Discorsi ovviamente da ossessionati del rock come noi, perché al pubblico che sente una bella voce o una bella melodia non è mai fregato nulla di quale mente creativa o quali semplici processi industriali si nascondo dietro un suono. Eppure anche se oggi le grandi industrie della canzone non esistono quasi più, i nomi che sanno fare la differenza sui dischi ci sono ancora (Rick Rubin, T-Bone Burnett,… l'elenco è facile). Anzi, fanno anche di più, ora fanno anche dischi in proprio, e poi ci aggiungono un nome, una voce che eviti che il disco cada nell'oblio, come è successo a praticamente tutti i dischi solisti dei produttori (chiedete a Daniel Lanois se ha guadagnato di più a sorbirsi una giornata di sessions degli U2 o a fare i dischi a suo nome). Praise And Blame è un disco di Ethan Johns, sicuramente annoverabile tra i dieci producers più importanti degli anni 2000 (curriculum disponibile mettendo il suo nome nel "cerca" del nostro sito). E' la sua idea di una musica legata alle radici, moderna e sempre adatta per un passaggio in radio come per una vostra serata di godurioso ascolto solitario.

Ma Praise And Blame è anche il suo trionfo personale, perché in mezzo ad una marea di inutili cover-album, lui ne confeziona uno pieno di traditionals o brani già sentiti mille volte, e con questo riesce a tenervi incollati fino alla fine alle casse dello stereo. Johns ha fatto tutto alla perfezione, ha affittato gli attrezzati studios di Peter Gabriel, li ha riempiti di splendidi session men (Booker T Jones, Benmont Tench, la coppia David Rawlings-Gillian Welch, per dirne solo alcuni), ha trasformato brani non certo inediti (a What Good Am I di Bob Dylan ci aveva già pensato recentemente Solomon Burke, Ain't No Grave è nell'ultimissimo capitolo degli American Recordings di Johnny Cash), ha giocato con le chitarre (ruggiscono forte nella Burning Hell che fu di John Lee Hooker) e ha ottenuto con Lord Help, Run On, Don't Knock e altri brani, lo stesso gospel-roots della Mavis Staples di questi tempi.

Ah, dimenticavo, ha anche scelto Tom Jones per dare un padre famoso all'album. Scelta straordinariamente felice, perché il vecchio leone ha dimostrato di essere un vero professionista, capace di cantare perfettamente Delilah come Kiss di Prince o Sex Bombs, oppure calare in piena chiave spiritual un brano di Billy Joe Shaver (If I Gave My Soul, da brividi) con una perfezione interpretativa che va ben al di là delle sue indiscutibili doti naturali. Ora il mondo della musica si sorprende di questa svolta, ma provate a mettere sul piatto un disco di Ray Lamontagne e successivamente guardatevi un DVD di un concerto di Tom (magari lo spettacolare Live At Cardiff Castle del 2001), e poi provate scandalosamente a pensarli assieme. Non vi sarà poi così difficile immaginare che possa esistere Praise & Blame.
(Nicola Gervasini)

2 commenti:

Laura ha detto...

seguendo il tuo consiglio ho asoltato il cd. è davvero splendido. la voce è intensa e sofferta. gli arrangiamenti sono stellari. e il cd va in loop da giorni...

grazie.
:-)

Nicola Gervasini ha detto...

bè...mi fa piacere....è un disco che si fa ascoltare davvero con piacere...
e poi Tom mi è sempre stato simpatico

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